giovedì 7 maggio 2009
vincenzo mastropirro nella tela sonora
Capita sempre più raramente di leggere testi di questo spessore, capaci di ingenerare a ogni approccio un coinvolgimento emotivo e intellettuale tanto profondo e "radicale".
La capacità, che emerge dirompente in alcune liriche, di ricreare, attraverso l'utilizzo in chiave antiretorica del lessico delle radici, una "lingua bambina" in grado di ri-definire, ri-plasmandoli,
i lineamenti delle cose, è la nota più evidente di questa scrittura oltremodo affascinante.
In essa, infatti, la “lingua-madre” delle radici, più che cristallizzare le immagini per preservarsi in forma di icona, le anima di un movimento vorticoso nel quale sembra ad ogni istante dissolversi, ma dal quale emerge, a barlumi, il volto albeggiante di tutto ciò "ca petai ìesse". In queste liriche brilla, intensamente, l'epifania di un mondo fermato dallo sguardo nel suo non-ancora, prima di essere parte del reale che illumina con la sua stessa assenza, con la memoria di quanto fu negato: il "miracolo" della poesia: quando accade.
Sembra di vedere in atto in tutta l’opera, attraverso il rovesciamento dell'ottica cara ad Albino Pierro e alla tradizione dialettale che a lui si richiama (tutta tesa a precostituire, in funzione "soterica", un universo dove il fluire del tempo si arresta e le immagini si ritagliano il senza-luogo di una condizione archetipica, esemplare), una lingua che si insegue, che vive e palpita e che, in ogni momento, si incunea nelle immagini per impedire loro qualsiasi stasi, qualsiasi quiete appagante. E’ una lingua, quindi, che cerca il "contrasto" per crearsi spazi di esistenza autonomi, e che dal contrasto (ad esempio con gli "inserti" di una lingua omologante, letteraria o quotidiana che sia) esce rafforzata, vitale nella sua convinzione di poter dare volto all'inespresso - perché non ancora -, o all'inesprimibile - perché già stato o mai stato -.
Francesco Marotta
Vincenzo Mastropirro, Tretìppe e Martìdde. Questo e quell’altro, prefazione di Luigi Metropoli, nota critica di Francesco Marotta, Roma, Giulio Perrone Editore - Divisione LAB, collana “Uranò”, 2009.
www.vincenzomastropirro.it
TESTI
Me vaite ind’a nu fiàure de carte
forte e coloròte.
Stoche chiandòte ind’a la tìerre
‘nanze a la tòmbe d’attaneme
ca se sté a pisciò sòtte da re resòte.
L’addemanne: “peccè stè a réire?”
ed idde la spicce subete.
Senza parlò vogghje sdradecamme e scappò
ma m’arrecùorde ca nan’ pùozze.
U terrene me mange a picche a picche
la paghiure me pigghje ma
pe fertìune m’arrecùorde d’esse nu fiàure de carte
e nan’ pozze meréje.
Mò capisce re resòte d’attàneme.
[Mi ritrovo in un fiore di carta / forte e colorato. // Sono piantato nella terra / davanti alla tomba di mio padre / che si sta scompisciando dalle risate. // Gli domando: ”perché ridi?” / e lui smette immediatamente. // Senza parlare vorrei sradicarmi e scappare / ma mi accorgo che non posso. // Il terreno mi ingoia a poco a poco / il terrore mi assale ma / per fortuna ricordo di essere un fiore di carta / e non posso morire. // Ora capisco le risate di mio padre.]
*
La parola giùste è stetò.
Nesciùne ‘ngéine ind’ u cile è stòte ‘nvendòte
la prove è la cadìute irresistìbile de l’angele
ca’ cadene ‘ndìerre cume chelumere sfatte.
R’illussiòne s’allundànene sembe de cchjue
nan’ ne remone ‘ca la finta resòte
metténne la tavue estive, addò ‘nu ‘bbune piatte
de gronegréis-patòne-e-cùozze
spénge abbasce u ‘muzzeche amòre du delàure.
[Il verbo giusto è spegnere.
Nessun gancio nel cielo è stato inventato / la riprova è la caduta irrefrenabile degli angeli / che si schiantano a terra come fioroni sfatti. // Le chimere si allontanano sempre più / non ci rimane che la finta allegria / apparecchiando la mensa estiva, dove il magnifico piatto / di riso-patate-e-cozze / spinge giù l’amaro boccone del dolore.]
*
Me sende occupòte.
“Iàje, levàteve da ‘nanze
ca me sende occupòte”.
Chìesse gredò mamme
quanne u prìevete
le disse ca attàneme
avàje murte.
E’ proprie u vere,
mamme se perdèje
quante le mancò
la pedde du’Alte
cur’u’alte ca t’è cumbàgne
e ca da tanne in pò
nan’ pute cchjù teccuò
nan’ pute cchjù vasò.
[Mi sento oppressa.
“Oh, lasciatemi stare / che mi sento oppressa”. // Questo gridò mamma / quando il prete / le annunciò che mio padre era morto. // E’ proprio vero, / mamma si smarrì / quando le mancò / la pelle dell’Altro // quell’altro che ti è compagno / e che da quel momento in poi / non puoi più toccare / non puoi più baciare.]
*
Nan’ so abetuòte a lavamme assè.
U addàure naturòle ca tenghe ‘ngùdde
è cume u addàure de la scorze de pòne
tanne tanne sfernòte da Masìne-u-fernòre.
Mò, ste a vìue
adenò re meddèiche da sàupe a la tevagghje
assapràmme a picche a picche
pe vedàje chere ca sò e chere ca so stòte
senza dèisce na paròle
senza dèisce proprie nùdde.
[Non sono abituato a lavarmi molto.
L’odore naturale che ho addosso / è come l’odore della crosta di pane / allora per allora sfornato da Masino il fornaio. // Ora sta a voi / raccogliere le briciole dalla tovaglia / assaggiarmi a poco a poco / per scoprire quello che sono e quello che sono stato // senza dire una parola / senza dire proprio niente.]
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La Tela Sonora
La Tela sonora e' una rete che attrae la poesia per espanderla e farla conoscere nel mondo, qui e ora: non esiste passato non esiste futuro. il futuro é il passato come é stato pensato da TE.
Ascolta ora in questo momento, l'unico possibile attimo.
Le parole della poesia letta sono adesso e ora, la loro musicalità é un tantra che raggiunge il cervello e soprattutto il cuore.
visita http://www.radioalma.blogspot.com/ ed ascolta le puntate trascorse in compagnia dei poeti.
La tela é per tutti grandi e piccini senza distinzione, accoglie per espandere per ritornare nel mondo con una forza più grande
Grazie a tutti coloro che hanno deciso di partecipare, la tela é vostra
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