giovedì 14 maggio 2009

Fara Edizioni


recensione di Vincenzo D’Alessio

Dare una veste critica ad una raccolta di poesie fare in modo che dalla lettura dei tanti versi nasca nell’animo del critico una voce solista, forte, vibrante che scandisca tutti gli accenti al punto giusto e generi il piacere dell’ascolto. Scriveva Luciano ANCESCHI negli anni Sessanta del secolo scorso, a proposito dell’orizzonte della Poesia affacciata alla fine del Novecento: “Tutto contesto di improntitudini sconvolgenti, e di delicata, riflessa sapienza, di violente improvvisazioni e di calcoli preziosi, di avventure precipitose e di meditate ricerche…” (pag. 240). Nel leggere la raccolta Cocci d’ombra, di CELLI, risento queste tematiche affermarsi dal titolo della raccolta fino all’ultimo verso.
Il Nostro è un poeta maturo, scaltro nell’uso della parola, immediato nella liricità dei versi. Ascoltiamo: “Come vorrei dirti /( … )/ ma dimmi, / almeno tu ci credi / a questi cocci d’ombra / (… ) / così fedeli ai silenzi dopo gli spari?” (pag. 15). Non vengono alla mente di chi legge questi versi: “Non chiederci la parola che squadri da ogni lato” etc.?” Ma siamo solo all’attacco della poetica del Nostro perché il paniere è ricolmo di molti frutti profumati che si spandono nelle liriche leggere e frante, provviste di un verso aguzzo, forte, eversivo: “dell’infanzia ricordo l’assenza / (…) / ed era solo il vento / che spingeva la mia altalena vuota / (pag. 14). Forme delicate e violente al tempo stesso. Fragili figure evanescenti di forte calore emotivo. Colori impressionisti che emergono dai versi: l’azzurro (tanto caro ai poeti francesi); il giallo (caldo e violento); il viola (caro al blues e al gospel dell’America afrocubana).
“Una poesia / nasce così / solo guardando il coraggio / di una casa a picco sul mare” (pag. 28) ed ecco l’aggancio al Novecento: “sul rialzo a strapiombo sulla scogliera” (Montale). Ma non vogliamo solo citare le contaminazioni poetiche quanto suggerire che “la quotidianità”, di cui parla nella prefazione Morena FANTI, è solo una “zattera” che trasporta il verso nella luce nera della notte incontro al chiarore della luna. Il nostro autore è armato di un grande dettato interiore “maturo e secco” pronto per essere immesso nella corrente della poesia contemporanea. Le figure retoriche, molte le metafore, somministrano ai versi una scabrosità che non sempre riesce gradevole a chi ascolta. Ma è sostanza poetica per chi legge. Scrivere è, come dice il Nostro, “mi sento parlare” (…) mi fondo e sparisco” (pag. 47).
Credo fermamente che la poetica di Vincenzo CELLI meriti grande attenzione. Sono versi che creano nel lettore necessità di pensiero, sedimenti di attese, accelerazioni positive verso un bene non definitivo, animano quella terra di nessuno che spesso si spegne negli occhi dei più deboli in questo inizio secolo. Noi siamo veri se non ci lasciamo andare all’indifferenza del “lascia stare”. L’esistenza, ripresa nei versi di questa raccolta, potrebbe sembrare “una scusa” ,“un urlo fatto di vento”. L’importanza che rivela è l’unica identità degli esseri chiamati uomini:”non puoi dividere due persone che si amano” (pag. 77). Questo è il senso dell’Eterno.


Maggio, 2009

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