lunedì 11 maggio 2009

Lina Salvi

LINA SALVI

testi tratti da Abitare l'imperfetto - ed. La Vita Felice, 2007







Abitare l’imperfetto





Affrontare la quarta fase

investire in ciò che siamo

non siamo, di verità avidi

sempre in bilico il sapere.

Bisogna sempre mentire al titolare

garbatamente dire,

infilare l’ago dolcemente nel punto

più dolente della gamba,

nascondere lo sdegno.





*

Mi spaventa il ritmo regolare

delle piante, le stagioni, sempre quelle

catena al collo

si potrebbe inventare, dire

di una sinistra variazione del tempo

qualcosa che sfugga suo malgrado

primitiva alla morte.



*



È uno strano movimento

del cervello, il girare a vuoto

nella sagoma di un coltello,

la solita infiammazione di un nervo,

un fuoco che pervade il cerebrale

lo stare della scrittura su una gamba

sola.





*

Resto comunque aggrappata

alla vastità di una pianura, al mare

d’oriente, a quel bacio inesplorato,

ritmo cardiaco. Dopo il primo pianto

ci sarà dato, al secondo giro di vento,

al cenno sovrano del bicchiere.





*





La messa è finita

raccogli dunque il tuo pane

l’epifania del lago, i battelli

battezzati, un nome solo

a memoria.

La parola non è che

un corpo innaturale

pelle avida di sale.





*



Spingersi oltre questa sera

per netta conseguenza

dentro a un film

in uno spostamento d’aria di vuoto,

che ognuno porta con sé.

Conosco il male, ciò che hai lasciato

la necessaria violenza del sale

quel freddo che restringe

in un appello nominale, le arterie.









Socialità





La lettera giunse in dicembre.

La lettera parlava chiaro: non avevo

scelta dovevo partire, accettai contro

il parere di mia madre. La nostalgia

mi costringeva a lunghe telefonate

a faticosi viaggi, interrotti da turni

di lavoro, incomprensioni di colleghi

che dei meridionali non ne parlavano

mai bene, lei non mi salutò mai

con un bacio, con una carezza.

Desiderava che accettassi

l’aiuto di un parente o che tornassi a casa

il ragù che ribolliva sui fornelli

potesse amalgamare non solo la pasta!

L’ordine del giorno scivolava

apparentemente su argomenti più frivoli,

ero fidanzata, non ero fidanzata,

pensavo di esserlo a breve, mi vergognavo

della mia schiena, della sua cicatrice.

Alle sue domande reagivo come se non avessi

ascoltato, come se si fossero d’un tratto

interrotti i fili della comunicazione,

come se l’esistenza di un bisogno

mi procurasse un’emozione

dalla quale era meglio stare alla larga.

Riprendevo vigore, scatto assumevo

un’espressione inflessibile e statuaria, io

che senza una barra metallica conficcata

nella schiena non ero nemmeno in grado

di governare il capo.

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