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Ricordo che quando ho cominciato a leggere scandivo lettere dalla mattina alla sera, con grande soddisfazione, come se avessi appreso una qualche magia, un trucco, come se stessi apprendendo uno strumento difficilissimo, ma che produceva note sconosciute e affascinanti, che promettevano l'opportunità di comporre splendide sinfonie. Mi esercitavo dalla mattina alla sera a suonare le pagine, aumentando i toni. A scuola cercavo sempre di finire i compiti il prima possibile, per poter poi tornare ad esercitarmi con il mio nuovo affascinante strumento. E la mia maestra, una donna anziana, molto severa, mi mandava sempre fuori dalla porta, o dietro la lavagna, o in un angolo, con il naso contro il muro. Ma era più forte di me, e tutte le volte io ricominciavo a leggere ad alta voce. La lettura era per me una pratica così affascinante che pensavo potesse dare fastidio a qualcuno.Credo che l'angolo e la lavagna e la mia sorda ostinazione significassero qualcosa già allora...Saper leggere mi rendeva felice soprattutto perché adesso potevo divorare tutti i libri che si trovavano in casa mia (mia madre è sempre stata una lettrice forte) che avevo sempre osservato come degli scrigni pregni di segreti, che io non ero in grado di aprire. Fin da bambina passavo molte ore da sola, magari in un angolo, con la voglia di entrare tra le pagine, di uscire dal mondo e visitarne un altro. Leggevo disordinatamente, tutto quello che trovavo, magari scegliendo sulla base della copertina, o dello spessore del libro. Più il libro era spesso e più sarebbe durato il viaggio. E a me dispiaceva sempre quando un viaggio finiva. A sette, otto anni cominciai a pensare che anche io potevo scrivere, e crearmi un mondo nel quale si potesse entrare in qualsiasi momento, e dal quale non si fosse mai costretti ad uscire, intraprendere un viaggio che solo io potevo decidere di far finire. Ho cominciato scrivendo brevi racconti illustrati con disegni a matita. Scrivevo su foglietti molto piccoli, che ripiegavo e spillavo, nella forma di un libretto. Da allora non ho più smesso di divorare romanzi. E non ho più smesso di scrivere: racconti, deliri, diari, romanzi e poesie, migliaia di poesie. La poesia era per me qualcosa di sacro, intoccabile, e consideravo un atto di presunzione il mio scrivere poesie, o testi che avevano la pretesa di somigliarci. Ma era una debolezza cui non sapevo rinunciare.
Ricordo che quando ho cominciato a leggere scandivo lettere dalla mattina alla sera, con grande soddisfazione, come se avessi appreso una qualche magia, un trucco, come se stessi apprendendo uno strumento difficilissimo, ma che produceva note sconosciute e affascinanti, che promettevano l'opportunità di comporre splendide sinfonie. Mi esercitavo dalla mattina alla sera a suonare le pagine, aumentando i toni. A scuola cercavo sempre di finire i compiti il prima possibile, per poter poi tornare ad esercitarmi con il mio nuovo affascinante strumento. E la mia maestra, una donna anziana, molto severa, mi mandava sempre fuori dalla porta, o dietro la lavagna, o in un angolo, con il naso contro il muro. Ma era più forte di me, e tutte le volte io ricominciavo a leggere ad alta voce. La lettura era per me una pratica così affascinante che pensavo potesse dare fastidio a qualcuno.Credo che l'angolo e la lavagna e la mia sorda ostinazione significassero qualcosa già allora...Saper leggere mi rendeva felice soprattutto perché adesso potevo divorare tutti i libri che si trovavano in casa mia (mia madre è sempre stata una lettrice forte) che avevo sempre osservato come degli scrigni pregni di segreti, che io non ero in grado di aprire. Fin da bambina passavo molte ore da sola, magari in un angolo, con la voglia di entrare tra le pagine, di uscire dal mondo e visitarne un altro. Leggevo disordinatamente, tutto quello che trovavo, magari scegliendo sulla base della copertina, o dello spessore del libro. Più il libro era spesso e più sarebbe durato il viaggio. E a me dispiaceva sempre quando un viaggio finiva. A sette, otto anni cominciai a pensare che anche io potevo scrivere, e crearmi un mondo nel quale si potesse entrare in qualsiasi momento, e dal quale non si fosse mai costretti ad uscire, intraprendere un viaggio che solo io potevo decidere di far finire. Ho cominciato scrivendo brevi racconti illustrati con disegni a matita. Scrivevo su foglietti molto piccoli, che ripiegavo e spillavo, nella forma di un libretto. Da allora non ho più smesso di divorare romanzi. E non ho più smesso di scrivere: racconti, deliri, diari, romanzi e poesie, migliaia di poesie. La poesia era per me qualcosa di sacro, intoccabile, e consideravo un atto di presunzione il mio scrivere poesie, o testi che avevano la pretesa di somigliarci. Ma era una debolezza cui non sapevo rinunciare.