venerdì 14 novembre 2008

Antonietta GNERRE: “Meditazione poetica e teologica in MARIO LUZI”

Preceduto da alcune puntuali osservazioni (“Dialogo con l’eterno”) del poeta irpino Cosimo Caputo e da una “Nota dell’autrice”, il saggio di Antonietta Gnerre “Meditazione Poetica e Teologica in MARIO LUZI”, costituisce un’opera pregevole, perché, a poca distanza dalla morte del poeta fiorentino, ne coglie limpidamente l’essenza spirituale, senza trascurare di tracciare il cammino che ha segnato la vita creativa di Mario Luzi, dalla poesia ermetica alla dimensione religiosa.
Il saggio, accattivante sia per la succosa brevità che per la personalità dell’Autrice, la quale ha saputo guardare ai contenuti poetici con la sensibilità che le proviene dai suoi studi teologici, oltre che dall’essere anche lei una poetessa, è costituito da tre Capitoli e da una breve Conclusione.
Il primo capitolo è intitolato: “Dalla poesia ermetica alla dimensione religiosa” Ed è suddiviso in due paragrafi: 1.1 “Il primo Luzi” e 1.2 “Un autore illuminato”.
Il secondo capitolo è intitolato: “Due esempi di poesia religiosa” ed è suddiviso anch’esso in due paragrafi: 2.1: “Il viaggio dell’anima” (“Viaggio terrestre e celeste di Simone Martini”) e 2.2: “La Passione” (“Morte e Resurrezione di un uomo”).
Il terzo capitolo “L’ultimo Luzi. La dimensione religiosa” consta invece di tre paragrafi: 3.1: “Nell’agone del mondo”, 3.2: “L’apprendistato di un principiante” e 3.3: “Pellegrino alla fine del viaggio”.
Indubbiamente, il primo problema che si è posto all’autrice è stato quello di ripercorrere il cammino del poeta Luzi partendo dalle sue prime esperienze, indubbiamente di stampo ermetico. Lei ha preferito non definire l’Ermetismo, se non riportando il pensiero di altri autori (Filippelli e soprattutto Francesco Flora, che in un saggio del 1936 definì “ermetica” una corrente di poesia tendente alle forme chiuse, difficilmente intelligibili o addirittura oscura), ma ha correttamente intuito che la poetica di Mario Luzi, da un lato, è così singolare da non poter essere racchiusa in astratte formule, e, dall’altro, che in ogni caso, anche a volerlo inquadrare nella menzionata corrente di poesia, il suo Ermetismo del primo periodo ha un “costrutto che approda ad esiti diversi”. In particolare, secondo la nostra saggista, Mario Luzi meriterebbe un posto a sé tra gli ermetici in quanto egli supera attraverso la fede una “letteratura del corridoio di penosa misura”, come egli stesso scriveva. Egli infatti, nel quadro generale della poesia del Novecento, nonostante essa presenti una tendenza materialista e desacralizzante, avrebbe colto un’aleggiante istanza di recupero dell’immenso patrimonio di segno religioso. Perciò lei accenna a numerosi e notevoli richiami letterari (Foscolo, Manzoni, Leopardi, Campana, Rebora, Ungaretti, Montale, Tosatti, Quasimodo, Gatto, Sinisgalli ed altri) al fine di comprovare, da un lato, che una rivoluzione profonda attraversa il senso stesso della poesia fin dal Romanticismo, nella direzione di una suggestione del “mistero” e di una “tensione mistica e del trascendente”, e, dall’altro, che l’ermetismo di Luzi del primo periodo rivela una evidente diversità, pur nell’ampio panorama della poesia ermetica novecentesca, perché ha per radice ideologica l’esistenzialismo cristiano, con le tipiche tensioni verso un assoluto religioso che consente di interpretare il male storico nella prospettiva dell’eterno e della trascendenza.
Orbene, è vero che in alcune poesie dei primordi e comunque meno recenti (“Primavera degli orfani”,”Le meste comari di Samprugnano”, “Alla vita”, “Passi”, “Già colgono i neri fiori dell’Ade”, “Già goccia la grigia rosa il suo fuoco”, “Un brindisi”) si colgono dei richiami pietosi alla Vergine Maria o a Dio, o più di frequente accenni classici al regno dell’Oltretomba e talvolta ai Campi Elisi ed al Paradiso della nostra cultura, ma sembra troppo poco, tuttavia, per poter parlare già di atmosfere da ideologico esistenzialismo cristiano. Con maggior cautela si potrebbe dire che si tratta di versi ispirati da stati d’animo tristi od inquieti, più spesso intrisi di un’atmosfera cupa e di mistero, con il che si conferma una delle caratteristiche originarie e più profonde dell’ermetismo, derivante nel suo stesso etimo dal dio (Ermes) che tra le sue prerogative aveva anche quella di accompagnare le anime dei defunti fino all’Ade. Una poesia nata tra le due guerre mondiali, espressione di un senso oscuro, criptico della realtà, chiusa nel mistero della parola come nella imperscrutabilità dell’Assoluto, nel quale è indubbiamente incluso il trascendenrte.
Un’anima religiosa, tormentata dal male e dal dolore del mondo e dalla loro sottaciuta inspiegabilità, alimentata da una speranza di salvezza che appare irraggiungibile, un’anima poeticamente protesa nella ricerca di una verità di fede fondamentalmente cristiana, è quella che certamente si ritrova nel Luzi del “Viaggio terrestre e celeste di Simone Martini” e, ancor più, nelle opere degli ultimi anni (“La Passione”, scritto per la Via crucis della Pasqua 1999, e “Dottrina dell’estremo principiante”, del 2004, tre passaggi di vita e di creatività poetica ai quali giustamente l’Autrice ha attribuito la maggiore importanza nelle linee essenziali del suo saggio, completato dall’accenno ad un testo di conversazioni sul Cristianesimo (“La porta del cielo”) e dall’ultimo suo componimento, “Il Termine”, scritto qualche attimo prima della morte.
Il “Viaggio” lo si comprende sul piano poetico e su quello umano soltanto se si riesce a vedere una “identificazione” dell’uomo Mario Luzi nell’uomo Simone Martini e, nel contempo, una reciproca fusione dell’Arte poetica del primo nell’Arte pittorica del secondo, e, correlativamente, i traguardi cui perviene il loro cammino, il loro viaggio, nella vita e nella creazione artistica. Non solo non è difficile, ma è anche bella ed esaltante questa visione, certamente tra le più alte espressioni dell’intera opera poetica di Mario Luzi, per chi si accosti ai due artisti con animo ingenuo e con una sensibilità “religiosa” che accompagni e sorregga la curiosità della conoscenza, per chi cominci con il collocarsi al punto di partenza di un pellegrinaggio, con la volontà di compierlo “sulle ali del canto”.
E’ questa la posizione in cui si è posta Antonietta Gnerre, con il sostegno operoso dei suoi studi di Teologia, ma soprattutto con l’entusiasmo della sua fede, giammai disgiunta da un sincero sentimento di amore e di quasi estatica ammirazione verso il Poeta. Tuttavia, in questo innegabile pellegrinaggio, va pur detto che quell’entusiasmo ha giocato un ruolo decisivo sulle proporzioni delle parti del saggio, nonostante la chiarezza e la completezza del medesimo, nel senso che alla silloge poeticamente più elevata del Viaggio di Simone non è stata da lei dedicata un’analisi così ampia come agli altri componimenti enucleabili dall’intera opera. Probabilmente perché l’Autrice, sorretta e sospinta da un vivo sentimento fideistico (tra le altre sue opere poetiche, è da ricordare, perfettamente in tema, la “Preghiera di una poetessa”), si è sentita più attratta, come si ricava dalle maggiori proporzioni degli altri capitoli del saggio, e persino dal titolo di taluno (“Un autore illuminato”; “un uomo di fede”), dal poemetto “La Passione”, o dalla “Dottrina dell’estremo principiante”, o dalla Conversazione sul Cristianesimo (“La porta del cielo”), oppure ancora dalle “Poesie ritrovate”. In tutti questi testi sembra, invece, che l’ispirazione poetica abbia ceduto il passo al verso “ragionato” (leggansi le pagine 37 e 40), accettando talvolta una “sfida ontologica”, ed assumendo tal’altra una “impronta liturgica”, secondo un pensiero critico di Lorenzo Mondo a cui lei stessa ha fatto richiamo (pag. 42).
Ad ogni modo, Antonietta Gnerre rimane pur sempre una “pellegrina” del Viaggio terrestre e celeste perché con questo spirito si è dedicata al suo pregevole libro, proprio come se l’avesse iniziato anche lei, questo suo pellegrinaggio letterario, insieme con il Poeta e con Simone Martini, non nelle vesti di taluna delle donne che seguono il percorso, ma piuttosto, come ci piace collocarla, in quelle dell’Estudiant (una studentessa di Teologia, perché no?, alla quale, però sarebbe difficile far accettare versi come “…Ma tutto si consuma in sé, materia e arte, materia e fede in questa trasmutabile spera”, che è la quarta peregrinazione dell’Estudiant, ma racchiude un nucleo essenziale della poetica luziana, anche se non il solo della tormentata avventura del suo spirito religioso). Sorretta da questa forza, molto probabilmente ella ha visto di più e meglio di tanti altri dubbiosi pellegrini che abbiano voluto farsi prendere per mano dal nostro poeta per attraversare con lui circa sessantanni di poesia e di ricerca dell’Assoluto, ma non hanno saputo dismettere la lente dell’analisi fredda e razionale. Lei invece ha scritto cinque brevi pagine di gioia che scaturiscono dalla visione fascinosa, cui non si è potuta sottrarre, di incantevoli paesaggi e di dipinti sublimi. Al termine, non si è fermata a Siena, come tutti coloro, credo, che intendano proseguire il viaggio, se è quello dell’anima, fin davanti all’Annunciazione di Simone Martini, in una costante speranza di ori e di luce.
Avellino 31.10.08 Gennaro Iannarone

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