mercoledì 24 giugno 2009

“Saperti a piedi nudi”

Nota critica di Francesco Tomada
http://rebstein.wordpress.com/2009/06/24/saperti-a-piedi-nudi-di-filippo-amadei/#more-13082

“Saperti a piedi nudi” (Lietocolle) è la seconda raccolta poetica di Filippo Amadei, che aveva esordito nel 2005 con “La casa sul mare” (Il Ponte Vecchio), e si caratterizza per una versificazione distesa, leggibile e sicura. Rispetto all’opera prima sono evidenti i passi in avanti compiuti dal giovane autore forlivese nella consapevolezza dell’utilizzo della lingua e nella definizione di uno stile personale senza nascondere il punto di partenza:



Il tramonto confonde il gioco dei confini
ruota l’emisfero luminoso degli oggetti
li conduce verso l’oceano dell’ombra
anche lo spazio del mio corpo ritorna
tutt’uno, senza equatori né divisioni
di luce, senza ferite – è così che si rinasce.


Si tratta di una poesia trasparente anche nel riconoscere i propri maestri, ed in questo senso il primo nome che viene alla mente è il Valerio Magrelli di “Ora Serrata Retinae” e “Nature e Venature”. Infatti Amadei rivive lo stesso percorso autopercettivo di quei lavori, ne ri-utilizza alcune scelte lessicali, e – con limpidezza e oserei dire umiltà – cita in diverse occasioni i testi del poeta romano negli incipit. Il corpo diventa una pianta, una piazza, ed al suo interno o esterno il pensiero si trasforma in “tumulto non autorizzato” o in rampicante che “fiorisce senza dolore”. O ancora:

Ho boschi grigi nella testa
pieni d’uccelli e se mi chiami
è così forte il richiamo del tuo vento
che mi scuoti alle radici del pensiero
tutti volano via.

Magrelli, Erba, D’Elia, Conte sono alcuni fra gli autori citati nel libro, quasi a definire il punto di partenza della poesia di Amadei, ma va sottolineato come il suo percorso sappia spingersi oltre e seguire coordinate personali. Lo fa ad esempio nel momento in cui recupera il valore assoluto dei singoli istanti e fissa immagini nel momento esatto in cui esse generano stupore, trovando felici congiunzioni e/o contrasti tra una ingenuità infantile e una visione nitidamente adulta degli avvenimenti.

Il salto in alto

(a Fabio)

È tutta una questione di tendini
e torsione del busto oltre l’asta
questo mi dicevi, di guardare
la posa dei piedi nella contrazione
limpida prima del salto, l’allineamento
parallelo delle gambe al terreno
non dimenticherò mai l’agosto del ‘92
nello slancio della nostra ultima infanzia
mentre l’aria fendeva il profilo
del tuo corpo, indecifrabile
un miracolo verso l’alto.

Si svelano in questi momenti nella poesia di Amadei ribaltamenti prospettici inattesi (è l’aria che fende il profilo del corpo) e avvicinamenti in cui il tempo e lo spazio si annullano o trovano la loro comunione. È una scrittura che trova un felice connubio tra l’essere razionale ed al tempo stesso istintiva tanto nella gioia quanto nell’amarezza, che diventa evidente soprattutto quando si parla di rapporti umani in generale oppure affettivi.

(a Laura)

Bordo piscina e acqua
chiara di sole, nel tenero volo
dei tuoi vent’anni ti ricordo
mentre le rondini girano su Padova
resto a 200 chilometri dal non saperti
se felice ora, se in attesa di qualcosa…
eppure ricordo i nostri baci
nel buio della macchina, l’argine
del tuo abbraccio sul porto
è tutto qui l’incompiuto di noi
che prende forma, un guizzo
di riflessi taglienti, la paura
l’immenso che non siamo stati.

I luoghi acquistano in certi momenti uno spessore fisico ed una localizzazione geografica, le distanze vengono quantificate, e la poesia si apre superando il risvolto personale per diventare anche aspra e tagliente. È il momento delle periferie, delle industrie e della cementificazione, e se può essere comune (ma non superfluo) scrivere con disincanto del nostro tempo, non è banale il modo in cui Amadei lo fa.

Dicono che questo sia il benessere
della civiltà postmoderna, un’altalena
tra due fabbriche, un francobollo
di verde per crescere i nostri figli
ma chi ci ha illusi in questo modo
noi qui stiamo come un riverbero
nel vento tagliente delle lamiere.

(Forlì, zona industriale quartiere Quattro.)

Un quartiere che per nome ha un numero, altrove uomini che diventano una “perfetta deposizione di sassi”: al di là della felicità della scrittura, affascina la poliedricità dello sguardo di Amadei, che sa essere intuitivamente ingenuo o razionalmente aperto, passare con uguale dignità dal privato al sociale per spingersi ancora oltre, lontano.

L’omicidio di Benazir Bhutto

Un proiettile ak-47 le ha sfondato il cranio
ha vinto la resistenza dei capelli scuri, la guerra
delle sue mani contro la morte. Lei non voleva
scampare al naufragio, lo dicevano gli occhi
pronti all’inciampo, i nervi tesi delle dita sottili
una questione di mesi giorni secondi, forse
la sua cessata ostinazione si ostina a non finire
commentano gli inviati speciali della BBC
mentre io non riesco a capire se fuori piove
o nevica ghiaccio se questa malinconia
natalizia attraversa me o l’occidente.



Testi tratti da: Filippo Amadei, Saperti a piedi nudi, Faloppio (CO), Lietocolle Libri, 2009.





Quando il tempo cambia e dal cielo
cade l’umido che accompagna la sera
la mia caviglia fratturata punta il dito, punge
nella carne – è tutto uno strillare
di tendini e ossa a ricordarmi
il dolore vivo del corpo, così sta il mondo
su assi terrestri traballanti, siamo noi
fragili le sue deboli caviglie.





Il sogno è l’infinita ombra del Vero.
Giovanni Pascoli

Nel sole a picco di mezzogiorno
un lampo d’ombra mi sorvola
non so se sogno
non so se sono sveglio
sotto le palpebre chiuse
è un’ala di aeroplano
quella che mi taglia.





Che case nuove a Villagrappa
che villette, ne costruiscono una
dietro l’altra ma ancora distaccate
a macchie, in mezzo alle vere case
di una volta, le case della guerra
dai ricordi stratificati, la modernità
invece non ha memoria, è malattia
la febbre del costruire.





Appoggio la mano al tronco di palma
ne osservo lo slancio e l’apertura
larga del fogliame, pure vedo
piccoli ramarri arrampicarsi
nello scatto delle code, così si crepa
la corteccia del mio corpo, fioriscono
senza dolore i miei pensieri
verdi al sole, ora chiari, rampicanti.





Prendiamo possesso di una nuova casa
come di un’idea, si arriva alla porta
imbagagliati di vecchi ricordi si cerca
la chiave adatta – è già sera
nelle serrature del pensiero
e questa stanza già piena di te
si ostina a restare indecifrabile, chiusa
nella sua perfetta estraneità.





Oggi ho pensato a respirare, l’aria
intorno era chiara, dagli scogli
dai pini a ridosso del mare veniva
invisibile come una gioia
e allora ho compreso come la vita
si versava in me, come consueta fluiva
in me da un’altra vita, arriva il momento
di capire il senso di un respiro
di non dare più nulla per scontato.





Ho ansia di perdermi, di lasciarmi
vivere nel mucchio, mi è sembrato
di bere dagli occhi di tutti stasera
incompiuta la mia chiara funzione
ma guardando lo stecco del campanile
allungarsi sulle pareti della notte ho capito
di essere sul fondo di una scatola
dimenticato, un cerino di zolfo
senza quel ruvido dolore, senza
lo sfregamento necessario alla vita.





Forlì, è ancora inverno
nel corso secolare dei portici
vedo i ragazzi della biblioteca fumare
felici sull’atrio, i fiati caldi delle gole alzarsi
come poveri segnali di vita
chi si ricorderà di noi, del nostro piccolo
fiume di gioia, io li guardo, mi chiedo
se anche oggi si ostinerà a non nevicare
e se davvero siamo noi questa perfetta
deposizione di sassi.





a Ilaria,
nel giorno del suo compleanno

Le primissime notizie alla radio:
i politici di destra e sinistra tutti insieme
nella catena delle intercettazioni!
Ma le strade alle cinque e mezza sono ancora libere
dal traffico e tu che sei già sveglia nel caos
di pensieri e coperte arrotolate non sai
che spettacolo è quest’alba, che sono io
la spia che ti ha intercettato
prenderti portarti via dalla tua pena
di vivere, insieme, in salvo
verso la mattina del tuo compleanno.

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