martedì 30 giugno 2009
CHE COS'È LA POESIA?
Con questo numero, nasce un piccolo foglio dentro cui avvengono cinque voci attorno ad una semplice, abissale, domanda:
CHE COS'È LA POESIA?
Più che una domanda, potrebbe essere un'eco che fluttua dalla tradizione orale alla scrittura, un boomerang, un significato che sporge, come un osso dal silenzio, attraverso i secoli e le vastità oceaniche tra i continenti.
Risposta non esiste e non va nemmeno tentata, perché sarebbe un gesto inutile, dissacratorio, semplificante e banale, salvo rare eccezioni.
Queste cinque voci, da me chiamate per questo incontro, a loro volta chiamano qui, con la loro presenza e la loro parola, la poesia stessa, abitandone la prossimità e creando la sua annunciazione.
L'idea è nata da Michelangelo Camelliti: un'altra sua apertura editoriale sgorgata dal suo solito desiderio di toccare l'ombelico magnetico e generativo della poesia, infilando il piccolo anello vuoto da cui si irradiano i raggi della ruota, ciò che permette la rotazione e il viaggio della poesia stessa.
Affidare a me questa idea è solo un transito.
Ho subito pensato ad un foglio povero, scarnificato, volendo parole/pane e persone/pane.
Cinque voci perché il 5 ha una risonanza segnica e significativa che percuote l'intero occidente e non solo. Risulta più che sufficiente: stellare.
Gli ospiti portano se stessi nella loro esperienza, sensibilità e ricerca artistica: esprimono il loro solco specifico, chi nella traduzione, chi nell'editoria, chi nel sentire profondo prima ancora che nella scrittura, chi nello studio finalizzato alla trasmissione, alla didattica.
Ho invitato:
Giulia Niccolai per il rigore e l'eccellenza del suo lavoro interiore che rifluisce in scrittura.
Giuliana Lucchini nella qualità di traduttrice.
Marina Giordani come editrice per lo Studio Calcografico Urbino.
Daniela Mattiacci per la serietà, la competenza, la partecipazione con cui insegna ai bambini della scuola elementare.
Credo che la figura del traduttore, dell'editore, dell'insegnante siano perni fissi per la sopravvivenza della poesia. Saranno voci, quindi, permanenti nel foglio da me curato.
La quinta voce è la poesia stessa: l'unica voce ad esporsi anonimamente. Ho chiesto volutamente questo ritiro di firma alla creatura poeta, come testimonianza di una esposizione che porga nudamente la propria interiorità. Rovescia di colpo la fame carnivora dei protagonismi alcolizzati di luce fosforescente in cui fare scintillare il proprio nome e cognome.
La poesia scrive il corpo di chi la vive. Lo comanda lo disciplina lo spoglia. Lo germina o lo caria. Esige una palestra senza tregua affinché possa essere sostenuta. È estranea al riconoscimento. E al riposo.
Vorrei che venisse accolto questo mio gesto come un seme di riflessione, contro una situazione generale di decadenza di cui abbiamo noi stessi poeti
noi stessi traduttori noi stessi editori noi stessi insegnanti noi stessi noi stessi non poche responsabilità.
La bibliografia degli autori è meno che scarna. Invita volutamente ad un approfondimento personale.
La copertina del foglio è una foglia scritta su entrambi i lati. Viviamola così. Il testo poetico di Deniki Jirì Orten, intitolato la cosa chiamata poesia è stato inciso sia dalla mano di una bambina di prima elementare che dalla mano di un uomo ultraottantenne. Entrambi vivono qui affiancati contemporaneamente, come fossero l'uno il rovescio dell'altra: a mostrare che la poesia è organica, attraversando il corpo infantile fino all'estrema vecchiaia.
Attraversando il nostro corpo che è sempre infantile e sempre immerso nella vecchiaia.
Non ho voluto altre poesie che quelle di alcuni bambini, sparse come margherite nel prato del foglio. Sono gettiti embrionali di poesia. Abbiamo bisogno di freschezza colore giocosità fiducia. Dobbiamo studiare tanto e tanto e tanto da dimenticarci tutta la letteratura, tornando ad essere in grado di ascoltare i vagiti poetici dei bambini. Come nutrimento e misura.
Nel pozzo delle meraviglie, dentro cui potete leggere questi testi, c'è da imparare. Ci sono versi così potenti che entrano nel corpo dei piccini senza che loro sappiano, né siano in grado di gestire il soffio della parola usata. Tuttavia l'inchiostro si è depositato: come un dono.
Gli ospiti di questo foglio, Giulia Niccolai, Giuliana Lucchini, Marina Giordani, Daniela Mattiacci, la creatura poeta e io stessa non ci rendiamo disponibili per rispondere ai lettori che vorrebbero dialogare, eventualmente. Non per aristocratica superbia. La nostra intenzione è stata quella di affondare soltanto una propria orma, poco prima di una lingua di mare. Null'altro. Naturalmente ogni commento verrà accolto, anzi l'intenzione è quella di spingere verso una tessitura di interventi successivi.
Ringrazio come fanno le erbe: battute dal vento, baciano terra e flessuosamente, umilmente, risorgono.
anna maria farabbi
Fogli di Poesia a cura di A.M. Farabbi
POETI - Fogli di Poesia a cura di A.M. Farabbi
23 giugno 2009
Presentiamo POETI: non una rivista, ma un viaggio attraverso la poesia che transita su un foglio aperto la cui prosecuzione è offerta a tutti coloro che vogliano integrare, aggiungere, commentare sul tema di volta in volta proposto da Anna Maria Farabbi, curatrice del progetto.
Per viaggiare insieme, sarà sufficiente inviare una mail a info@lietocolle.com
lunedì 29 giugno 2009
ASSALTI AL CUORE #5
festival di musica e letteratura
Rimini, 1-7 luglio
Torna a Rimini dall’1 al 7 luglio 2009 la quinta edizione del Festival di Musica e Letteratura Assalti al Cuore. Una edizione speciale che lega insieme artisti di diverse discipline, in una vera e propria "camera delle meraviglie".
“Non ho niente da dire, soltanto da mostrare.”
Walter Benjamin
“Oh! Cuore mio.”
Pablo Echaurren
“Oblò”: a differenza di una finestra vera e propria, il suo uso avviene in condizioni in cui sia necessario poter scrutare l’esterno, ma nello stesso tempo esporsi ad esso il meno possibile, date alcune caratteristiche di insidiosità che in determinati contesti l’ambiente può assumere. (Wikipedia)
Gli indizi sono sparsi, alcuni disseminati a bella posta, è evidente. Altri ingannevoli. Basta seguire le tracce, non fermarsi all’apparenza, andare a fondo insomma. Annotarsi a dovere, se possibile, ogni minimo particolare, raccogliere minuziosamente le prove, anche se scarse. Ci si può smarrire, a un certo punto, è da tener conto, questo è concesso, sono contemplati del resto, devi saperlo, anche depistaggi. C’è un viaggio, innanzitutto, da fare, al termine della notte. Fin in Mongolia, volendo, in retromarcia. Dall’oblò – se con i polpastrelli stropicci gli occhi eppoi sfreghi bene il vetro della finestrella con il palmo della mano – la si può vedere senz’altro, abbastanza chiaramente, questa quinta edizione di Assalti al Cuore. Altro non è, credo, che una Wunderkammer. Una camera delle meraviglie. Allestita a nostro modo e piacimento, s’intende. Accuratamente.
Sono custodite – la Wunderkammer, si sa, è il luogo dello stupore – sperimentazioni preziose, uniche, alcune, di fatto, nel loro genere. Ecco cosa ci trovi, allora, se scruti e rovisti tra partiture, scartoffie, incroci: epiche sfide di boxe, un orizzonte adriatico, terreni selvaggi e controcanti, partite di calcio e ginocchi sbucciati, città immaginarie e immagini di città, un villaggio Anic e scene di bosco, una fiaba rossa, un soffio di nero, addirittura 99 nuovissimi biglietti inglesi del Tram, due granelli di sabbia, stralci di scandinavi paesaggi sonori. C’è, in vero, un preciso disordine artistico, così come si conviene, ma è come se fosse un rebus, in fondo, se ci pensi, questa camera-labirinto, un unico grande enigma. E ci sono anche palle di vetro con la neve, in questa wonder-room, che se le scuoti ci vedi subito il Conte di Kevenhüller inseguito da un baco da pietra e da loschi individui nella penombra che corrono in sella a numerosi olifanti, altri, li vedi, sono un quartetto essenziale di ex, altri ancora sono solo morti di sonno. Eppoi isole – ecco cosa ci trovi per davvero, infine, in fondo, qui dentro – tante isole che ti frullano intorno come girandole, isole reali e isole cinematiche, un’isola spartitraffico e isole fantastiche, isole di cemento, isole di ferro e una sola Isola delle Rose (che qualcuno, si dice, abbia fatto affondare). Simone Bruscia
Per approfondimenti
www.assaltialcuore.it
Rimini, 1-7 luglio
Torna a Rimini dall’1 al 7 luglio 2009 la quinta edizione del Festival di Musica e Letteratura Assalti al Cuore. Una edizione speciale che lega insieme artisti di diverse discipline, in una vera e propria "camera delle meraviglie".
“Non ho niente da dire, soltanto da mostrare.”
Walter Benjamin
“Oh! Cuore mio.”
Pablo Echaurren
“Oblò”: a differenza di una finestra vera e propria, il suo uso avviene in condizioni in cui sia necessario poter scrutare l’esterno, ma nello stesso tempo esporsi ad esso il meno possibile, date alcune caratteristiche di insidiosità che in determinati contesti l’ambiente può assumere. (Wikipedia)
Gli indizi sono sparsi, alcuni disseminati a bella posta, è evidente. Altri ingannevoli. Basta seguire le tracce, non fermarsi all’apparenza, andare a fondo insomma. Annotarsi a dovere, se possibile, ogni minimo particolare, raccogliere minuziosamente le prove, anche se scarse. Ci si può smarrire, a un certo punto, è da tener conto, questo è concesso, sono contemplati del resto, devi saperlo, anche depistaggi. C’è un viaggio, innanzitutto, da fare, al termine della notte. Fin in Mongolia, volendo, in retromarcia. Dall’oblò – se con i polpastrelli stropicci gli occhi eppoi sfreghi bene il vetro della finestrella con il palmo della mano – la si può vedere senz’altro, abbastanza chiaramente, questa quinta edizione di Assalti al Cuore. Altro non è, credo, che una Wunderkammer. Una camera delle meraviglie. Allestita a nostro modo e piacimento, s’intende. Accuratamente.
Sono custodite – la Wunderkammer, si sa, è il luogo dello stupore – sperimentazioni preziose, uniche, alcune, di fatto, nel loro genere. Ecco cosa ci trovi, allora, se scruti e rovisti tra partiture, scartoffie, incroci: epiche sfide di boxe, un orizzonte adriatico, terreni selvaggi e controcanti, partite di calcio e ginocchi sbucciati, città immaginarie e immagini di città, un villaggio Anic e scene di bosco, una fiaba rossa, un soffio di nero, addirittura 99 nuovissimi biglietti inglesi del Tram, due granelli di sabbia, stralci di scandinavi paesaggi sonori. C’è, in vero, un preciso disordine artistico, così come si conviene, ma è come se fosse un rebus, in fondo, se ci pensi, questa camera-labirinto, un unico grande enigma. E ci sono anche palle di vetro con la neve, in questa wonder-room, che se le scuoti ci vedi subito il Conte di Kevenhüller inseguito da un baco da pietra e da loschi individui nella penombra che corrono in sella a numerosi olifanti, altri, li vedi, sono un quartetto essenziale di ex, altri ancora sono solo morti di sonno. Eppoi isole – ecco cosa ci trovi per davvero, infine, in fondo, qui dentro – tante isole che ti frullano intorno come girandole, isole reali e isole cinematiche, un’isola spartitraffico e isole fantastiche, isole di cemento, isole di ferro e una sola Isola delle Rose (che qualcuno, si dice, abbia fatto affondare). Simone Bruscia
Per approfondimenti
www.assaltialcuore.it
domenica 28 giugno 2009
Poesia Incompleta
A Lisbona ho incontrato un giovane di nome Changuito, che lo scorso novembre ha aperto una libreria che si chiama Poesia Incompleta interamente dedicata alla poesia. La libreria consta di due stanze e un giardino; nelle due stanze ci sono scaffali pieni di libri di poesia e, dietro i libri, scatoloni pieni di volumi di poesia non catalogati.
Il negozio non vende nessun altro tipo di libri
: niente fiction, non fiction, niente cd, niente giochi, caffè, vino, musica dal vivo, nulla, nessun happening. È un negozio che si frequenta solo se si ama la poesia, ci si siede all'interno o nel giardino e si leggono libri che Changuito e la sua fidanzata comprano durante i loro viaggi in giro per il mondo.
Per me una libreria, che si trovi a Bombay, Roma o New York, passa l'esame in base alla sua sezione di poesia. È da quel reparto che si può capire se il proprietario è lì per passione o per avidità di ricchezza. La maggior parte delle grandi catene di librerie americane relegano la poesia nel retro o nel seminterrato del negozio, come se fosse un segreto colpevole. La poesia non porta soldi a nessuno; è un dono. Da questo punto di vista, la libreria di Changuito è un vero tesoro, un concentrato di doni. Mi ha fatto piacere vedere, ad esempio, sul sito Internet del negozio (poesia-incompleta.blogspot.com), il miglior libro di poesia indiana in lingua inglese degli ultimi anni: 'Jeuri' di Arun Kolatkar. È la sola libreria interamente dedicata alla poesia che io abbia mai visto.
Ma chi legge poesia di questi tempi? Tutti noi. Ogni volta che ascoltiamo musica pop, ascoltiamo il testo, un'elegante condensazione di esperienza dentro il linguaggio. Dio ci parla esclusivamente in versi. Quando ci rechiamo in chiesa o in una moschea o in un tempio, le scritture che ascoltiamo o gli inni che cantiamo sono tutti scritti in metri. La poesia ci plasma più di quanto immaginiamo e siamo pronti a riconoscere.
Il negozio non vende nessun altro tipo di libri
: niente fiction, non fiction, niente cd, niente giochi, caffè, vino, musica dal vivo, nulla, nessun happening. È un negozio che si frequenta solo se si ama la poesia, ci si siede all'interno o nel giardino e si leggono libri che Changuito e la sua fidanzata comprano durante i loro viaggi in giro per il mondo.
Per me una libreria, che si trovi a Bombay, Roma o New York, passa l'esame in base alla sua sezione di poesia. È da quel reparto che si può capire se il proprietario è lì per passione o per avidità di ricchezza. La maggior parte delle grandi catene di librerie americane relegano la poesia nel retro o nel seminterrato del negozio, come se fosse un segreto colpevole. La poesia non porta soldi a nessuno; è un dono. Da questo punto di vista, la libreria di Changuito è un vero tesoro, un concentrato di doni. Mi ha fatto piacere vedere, ad esempio, sul sito Internet del negozio (poesia-incompleta.blogspot.com), il miglior libro di poesia indiana in lingua inglese degli ultimi anni: 'Jeuri' di Arun Kolatkar. È la sola libreria interamente dedicata alla poesia che io abbia mai visto.
Ma chi legge poesia di questi tempi? Tutti noi. Ogni volta che ascoltiamo musica pop, ascoltiamo il testo, un'elegante condensazione di esperienza dentro il linguaggio. Dio ci parla esclusivamente in versi. Quando ci rechiamo in chiesa o in una moschea o in un tempio, le scritture che ascoltiamo o gli inni che cantiamo sono tutti scritti in metri. La poesia ci plasma più di quanto immaginiamo e siamo pronti a riconoscere.
La Tela Sonora del 26 giugno 2009
ascolta
Fernanda Ferraresso
C’è dentro i versi di questa raccolta di Fernanda Ferraresso il pulsare vivido della corporeità. Il verso che respira (Respiro. Silenzio. Respiro.) con lo stesso ritmo del corpo; la parola un otre gravido di accordi, luci e semi che germogliano e si espandono d’intorno, lasciando essenze, aromi e nettare nell’aria “ il mio corpo è un pianeta di falesie / e picchiare di uccelli che in me vorrebbero tracciare un nodo di voli” (p.82).
Il linguaggio è interiore e viscerale, permeato di una sensualità lieve, da cui il lettore viene travolto, in un procedere che è “incontro”, “congiungimento”, ricerca oltre la soglia del dicibile.
Sono qui distesa.... muta.... ad ascoltarti.... e nuda. (p.85)
E’ il fascino della scrittura visionaria e onirica, che nella sua intima inafferrabilità acquisisce un aspetto lieve e prossimo al sacro.
L’io lirico è al centro della raccolta, in continua tensione verso l’altro. Un corpo (un sé) che si completa e si eleva nell’attraversamento e nel congiungimento-fusione (anche quando l’altro è assenza o mancanza, anche nella metabolizzazione del lutto)
Quando mi baci
amore rovesciami dentro la notte
con una scodella di latte (p.19)
*
Per ascoltarti mi dispongo in un nudo silenzio
terra io stessa e piana innanzi a te” (p.85)
Frequente è l’uso di riuscitissime metafore, similitudini, analogie, sperimentazioni lessicali che dilatano e ampliano il verso, sgravano il vortice della ricerca, così come i rimandi evocativi (tanti) uterini, ombelicali, riconosciuti come “gli anelli di una spina/ vertebra candida e sonora/ che finalmente mi regge” (p.28).
Un libro da ascoltare più che da leggere, a cui affidarsi e da cui lasciarsi condurre, perché le maglie che lo tessono “tramanti”, “perimetrali”, “migratorie”, sono filigrane riconoscibili, condivisibili e dell’appartenenza.
Fernanda Ferraresso, Migratorie non sono le vie degli uccelli, Il ponte del sale 2009
Riferimento sul web: http://fernirosso.wordpress.com/
ospiti in radio anche:
Alberto Toni
Marco Milone
DA VIA DE POETI: BOLOGNA
AL VIA LE FINALI DEL 1°CAMPIONATO NAZIONALE DI POESIA ORALE
Alla Vs Cortese Attenzione:
Domenica 28 giugno avranno inizio le fasi finali del 1°CAMPIONATO NAZIONALE DI POESIA ORALE, le cui eliminatorie sono iniziate nel giugno 2008 ed hanno visto poeti provenienti da tutt'Italia sfidarsi a suon di rime.
Saranno 72 i poeti selezionati dal pubblico a sfidarsi durante queste ultime nove serate e solo 9 di loro accederanno alla Finalissima prevista in piazza Verdi per il 29 luglio; e sarà sempre il pubblico a decretare i vincitori delle finali nonché i primi tre classificati assoluti del Campionato.
Ecco le date di finale, Tutte ad ingresso GRATUITO:
Domenica 28 giugno e 5, 12, 19 e 26 luglio presso lo spazio multiartistico ed enogastronomico LA RAVINTOLA all’interno degli spazi del DLF di via S.Serlio, 25, Bologna, a partire dalle h. 20,00
Lunedì 29 giugno, 6, 13, 20 e 27 luglio a Vicolo Bolognetti, CORTILE DEL POZZO a partire dalle h. 21,00.
Tutte le serate saranno caratterizzate da ospiti dell’ambiente della cultura e dello spettacolo che si alterneranno alle fasi della gara, proponendo le proprie performances secondo un tema comune caratterizzante la serata:
Domenica 28 giugno, ore 20, LA RAVINTOLA / DLF
LA MUSICA D'AUTORE:DALLA SCUOLA GENOVESE ALLE VIDEOISTALLAZIONI
Silvia Parma (voce)-Ferdinando Ferri (chitarra) e Alberto Armaroli (percussioni) riproporranno un viaggio nella musica d’autore italiana, raccontandone la storia
Il video performer Vernon De Vere proporrà un nuovo linguaggio di musica d'autore con contaminazioni elettroniche.
I finalisti in gara: Marco Ostan (BO), Giovanna Barnoffi e Flavio Casella (TO), Mario Fulgaro (BO), Vittoria Pandini, (S. Pietro in Casale), Dimitri Rufolo (PR), Chiara Valerio (VE) e Sacha Lambertini (GE)
Lunedi 29 giugno, VICOLO BOLOGNETTI / CORTILE DEL POZZO
IRONICAPOETICA
Sul palco la pop ska band I PIGNA, e tra i concorrenti in gara il vignettista ZAP e la poetessa ironico-sexy CLARA VAJHTO da Venezia, che porporranno loro performances a fine gara nello spazio OPEN MIC.
Gli altri finalisti in gara: Gianmarco Basta e Matteo Buratti (BO), Paolo Fileni (AN), Franco Lipari (BO), Oliviero Pianca e Alessandro Gallo (BO).
Al termine di tutte le serate OPEN MIC, palco aperto per musicisti, poeti ed artisti in genere.
Il 1° Campionato Nazionale di Poesia Orale ha ricevuto il patrocinio del Comune e della Provincia di Bologna, della Regione Emilia Romagna, di altri comuni, province e regioni italiane ed il riconoscimento del Presidente della Repubblica e dell'Unesco.
Per info: postapoeti@libero.it www.viadepoeti.it tel. 3403479570
Alla Vs Cortese Attenzione:
Domenica 28 giugno avranno inizio le fasi finali del 1°CAMPIONATO NAZIONALE DI POESIA ORALE, le cui eliminatorie sono iniziate nel giugno 2008 ed hanno visto poeti provenienti da tutt'Italia sfidarsi a suon di rime.
Saranno 72 i poeti selezionati dal pubblico a sfidarsi durante queste ultime nove serate e solo 9 di loro accederanno alla Finalissima prevista in piazza Verdi per il 29 luglio; e sarà sempre il pubblico a decretare i vincitori delle finali nonché i primi tre classificati assoluti del Campionato.
Ecco le date di finale, Tutte ad ingresso GRATUITO:
Domenica 28 giugno e 5, 12, 19 e 26 luglio presso lo spazio multiartistico ed enogastronomico LA RAVINTOLA all’interno degli spazi del DLF di via S.Serlio, 25, Bologna, a partire dalle h. 20,00
Lunedì 29 giugno, 6, 13, 20 e 27 luglio a Vicolo Bolognetti, CORTILE DEL POZZO a partire dalle h. 21,00.
Tutte le serate saranno caratterizzate da ospiti dell’ambiente della cultura e dello spettacolo che si alterneranno alle fasi della gara, proponendo le proprie performances secondo un tema comune caratterizzante la serata:
Domenica 28 giugno, ore 20, LA RAVINTOLA / DLF
LA MUSICA D'AUTORE:DALLA SCUOLA GENOVESE ALLE VIDEOISTALLAZIONI
Silvia Parma (voce)-Ferdinando Ferri (chitarra) e Alberto Armaroli (percussioni) riproporranno un viaggio nella musica d’autore italiana, raccontandone la storia
Il video performer Vernon De Vere proporrà un nuovo linguaggio di musica d'autore con contaminazioni elettroniche.
I finalisti in gara: Marco Ostan (BO), Giovanna Barnoffi e Flavio Casella (TO), Mario Fulgaro (BO), Vittoria Pandini, (S. Pietro in Casale), Dimitri Rufolo (PR), Chiara Valerio (VE) e Sacha Lambertini (GE)
Lunedi 29 giugno, VICOLO BOLOGNETTI / CORTILE DEL POZZO
IRONICAPOETICA
Sul palco la pop ska band I PIGNA, e tra i concorrenti in gara il vignettista ZAP e la poetessa ironico-sexy CLARA VAJHTO da Venezia, che porporranno loro performances a fine gara nello spazio OPEN MIC.
Gli altri finalisti in gara: Gianmarco Basta e Matteo Buratti (BO), Paolo Fileni (AN), Franco Lipari (BO), Oliviero Pianca e Alessandro Gallo (BO).
Al termine di tutte le serate OPEN MIC, palco aperto per musicisti, poeti ed artisti in genere.
Il 1° Campionato Nazionale di Poesia Orale ha ricevuto il patrocinio del Comune e della Provincia di Bologna, della Regione Emilia Romagna, di altri comuni, province e regioni italiane ed il riconoscimento del Presidente della Repubblica e dell'Unesco.
Per info: postapoeti@libero.it www.viadepoeti.it tel. 3403479570
sabato 27 giugno 2009
Poesia a Genova
Don Gallo, Claudio Pozzani, Banda Ottoni a Scoppio nel ghetto di Genova
Sabato 20 giugno 2009 Fabrizio De André è stato ricordato con una serie di concerti, danze e performance poetiche in Via del Campo e nei vicoli e piazze adiacenti, nella zona più nascosta del centro storico di Genova.
Qui vivono le "trans", che, minacciate di sfratto, hanno chiesto solidarietà alla Comunità di San Benedetto al Porto fondata da don Gallo.
Il video riguarda la processione musicale nei vicoli della Banda Ottoni a Scoppio di Milano, la lettura di una sua poesia da parte di Claudio Pozzani, il discorso di don Gallo.
La festa, organizzata dai ragazzi della Comunità di San Benedetto, si è protratta fino a tarda sera, registrando uno straordinario successo.
http://www.youtube.com/watch?v=XnuSu3f7eSA
Guido Conforti declama in Via del Campo a Genova
Performance poetica di Guido Conforti in Via del Campo il 20 giugno 2009.
Il 20 giugno 2009 musica, poesia, danza, filosofia sono stati portati dalla Comunità di San Benedetto al Porto fondata da don Gallo nel cosiddetto ghetto, il luogo più oscuro del centro storico di Genova, a monte di Via del Campo, in ricordo di Fabrizio De Andrè, che amava frequentare quei luoghi lasciandosi alle spalle i palazzi borghesi.
Guido Conforti poeta e scrittore genovese recita un proprio testo, in cui sorvola in volo radente il nostro conformismo.
http://www.youtube.com/watch?v=YQYDbmxYBD4
Sabato 20 giugno 2009 Fabrizio De André è stato ricordato con una serie di concerti, danze e performance poetiche in Via del Campo e nei vicoli e piazze adiacenti, nella zona più nascosta del centro storico di Genova.
Qui vivono le "trans", che, minacciate di sfratto, hanno chiesto solidarietà alla Comunità di San Benedetto al Porto fondata da don Gallo.
Il video riguarda la processione musicale nei vicoli della Banda Ottoni a Scoppio di Milano, la lettura di una sua poesia da parte di Claudio Pozzani, il discorso di don Gallo.
La festa, organizzata dai ragazzi della Comunità di San Benedetto, si è protratta fino a tarda sera, registrando uno straordinario successo.
http://www.youtube.com/watch?v=XnuSu3f7eSA
Guido Conforti declama in Via del Campo a Genova
Performance poetica di Guido Conforti in Via del Campo il 20 giugno 2009.
Il 20 giugno 2009 musica, poesia, danza, filosofia sono stati portati dalla Comunità di San Benedetto al Porto fondata da don Gallo nel cosiddetto ghetto, il luogo più oscuro del centro storico di Genova, a monte di Via del Campo, in ricordo di Fabrizio De Andrè, che amava frequentare quei luoghi lasciandosi alle spalle i palazzi borghesi.
Guido Conforti poeta e scrittore genovese recita un proprio testo, in cui sorvola in volo radente il nostro conformismo.
http://www.youtube.com/watch?v=YQYDbmxYBD4
venerdì 26 giugno 2009
Acqua, un ponte fra culture
Concerto
Performance d’arte figurativa
sul Valore dell’Acqua
Venezia – 26 settembre 2009
"Acqua, un ponte fra culture”, organizzato in contemporanea alla Biennale Musica 2009 di Venezia, è un’iniziativa unica nel suo genere, tesa ad abbracciare i linguaggi artistici di culture tradizionalmente ostili (greci e turchi), per portare all’attenzione del più ampio pubblico il valore dell’Acqua concepita come Bene Comune.
Si esibiranno in un repertorio di musiche sul tema dell’acqua, la celebre cantante greca Mariza Koch e la turca Serap Tamay, artisti da anni impegnate a denunciare casi eclatanti di inquinamento diffuso delle acque e a valorizzare la dimensione etica di questo bene, partendo dal proprio patrimonio musicale tradizionale.
L’evento prevede infine la performance di Fathi Hassan, noto artista italo-nubiano, che realizzerà durante il concerto l’opera “Il lamento dell’acqua”.
Performance d’arte figurativa
sul Valore dell’Acqua
Venezia – 26 settembre 2009
"Acqua, un ponte fra culture”, organizzato in contemporanea alla Biennale Musica 2009 di Venezia, è un’iniziativa unica nel suo genere, tesa ad abbracciare i linguaggi artistici di culture tradizionalmente ostili (greci e turchi), per portare all’attenzione del più ampio pubblico il valore dell’Acqua concepita come Bene Comune.
Si esibiranno in un repertorio di musiche sul tema dell’acqua, la celebre cantante greca Mariza Koch e la turca Serap Tamay, artisti da anni impegnate a denunciare casi eclatanti di inquinamento diffuso delle acque e a valorizzare la dimensione etica di questo bene, partendo dal proprio patrimonio musicale tradizionale.
L’evento prevede infine la performance di Fathi Hassan, noto artista italo-nubiano, che realizzerà durante il concerto l’opera “Il lamento dell’acqua”.
PAROLE SPALANCATE 2009
il 15 Festival Internazionale di Poesia di Genova, si è chiuso registrando un grande successo di pubblico e critica.
Con 213 poeti e artisti intervenuti, 141 eventi gratuiti, 2 mostre, 63 luoghi di spettacolo, 15.000 spettatori, il Festival Internazionale di Poesia di Genova si conferma la manifestazione italiana più importante per quanto riguarda la poesia.
Tuttavia, non pensiamo che siano soltanto i numeri e l'affluenza del pubblico a dover dare l'idea della portata culturale di un festival nonostante sempre più spesso si applichino criteri prettamente "televisivi" per valutare la bontà e il successo di un evento culturale.
A questo proposito, il nostro Festival riesce da 15 anni a coniugare il successo di pubblico con una programmazione di elevata qualità e ricerca di innovazione.
Anche quest'anno abbiamo proposto personaggi di fama internazionale come il poeta tanghero Horacio Ferrer, il geniale Blixa Bargeld, John Giorno, vero anello di congiunzione tra Pop Art, Beat Generation e Rock alternativo, l'austriaco Raoul Schrott, il repentista funambolico Alex Pimenta, il poeta dei fiumi Jacques Darras, la poetessa e giornalista libanese Joumana Haddad, il poeta tunisino Moncef Ghachem, gli autori albanesi Visar Zhiti e Ylijet Aliçka, solo per citarne alcuni.
A fianco di queste grandi voci della poesia mondiale, si sono succeduti sul palco di Palazzo Ducale alcuni tra i nomi più famosi del panorama italiano, come Vinicio Capossela, Elio, Alessandro Bergonzoni, David Riondino (a sorpresa ha accompagnato Pimenta in una travolgente esibizione), Michele Serra che si è aggiudicato il premio internazionale poesia in bottiglia, Massimo Volume, Bachi Da Pietra, Giovanni Ricciardi.
Come detto, il successo del Festival risiede essenzialmente nell'equilibrio tra autori già noti (che comunque presentano brani o performance creati appositamente per la nostra manifestazione), e poeti e artisti emergenti che vogliamo far conoscere e valorizzare.
Al di là dei nomi, il programma del Festival ha presentato molte iniziative dedicate alle categorie più svantaggiate, come Poeti Dentro, concorso di poesia dedicato ai detenuti nelle carceri liguri, Contro il Destino, ciclo di conferenze sul valore sociale e in alcuni casi salvifico della poesia, la mostra Ri-Costruzione Casa del lavoro Possibile, sulla capacità ideativa e progettuale di persone con disagi mentali, l'asta benefica La Poesia accende la vita, con in palio una lampada Zettelz donata personalmente da Ingo Maurer per ricavare fondi per il reparto di Oncologia dell'Istituto Gaslini. Anche la raccolta di libri per la ricostituenda biblioteca di Fossa (AQ) è andata oltre le aspettative e a questo proposito desideriamo ringraziare sia chi ha portato libri a titolo personale che le case editrici genovesi che hanno collaborato donando alcuni dei loro titoli (fratelli Frilli, il melangolo, liberodiscrivere).
Un ottimo riscontro hanno ottenuto gli appuntamenti classici del Festival, come la Notte della Poesia che ha avuto il merito di invadere con la poesia anche spazi tolti al degrado e alla criminalità avvicinando il pubblico a zone e quartieri spesso dimenticati. A questo proposito, le associazioni e i cittadini residenti hanno dato un aiuto decisivo per fare uscire forte e chiaro il messaggio di voler far vivere tutte le zone del centro storico più grande d'Europa.
Anche i Percorsi Poetici, itinerari guidati seguendo le tracce dei poeti e scrittori inventati nel 1994 e ormai presi come riferimento da molte altre città italiane, hanno fatto registrare una crescente partecipazione, in particolare il percorso notturno e quelli dedicati al cimitero monumentale di Staglieno.
Spettatori attenti e numerosi per i tre Aperitivi Poetici, promossi da TrattoPEN, la penna ufficiale del Festival Internazionale di Poesia. Enzo Costa, Joumana Haddad, Horacio Ferrer hanno raccontato la loro attività letteraria e risposto alle domande del pubblico.
Infine la 5 edizione di Bloomsday, lettura dell'Ulysses di Joyce in oltre 20 luoghi diversi, con la partecipazione di decine di lettori, quest'anno si è ulteriormente ampliata ed arricchita di eventi.
Il Festival ha ampliato la sua sezione di cinema e arti visive, con due importanti anteprime nazionali come The Night Fernando Pessoa met Constantine Cavafy del regista Stelios Charalambopoulos e Preghiera d'amore di Yliejet Aliçka. Altre opere importanti, la videoevocazione di Adriano Kestenholz La latenza del visibile e il documentario Il passaggio della linea di Pietro Marcello. Da citare l'intervento del collettivo di videomaker francesi Short Cut.
Si chiude quindi un'edizione quanto mai ricca di contenuti e di personaggi, nonostante le difficoltà finanziarie e ristrettezze di budget che hanno reso più problematico il mantenimento del palinsesto su standard d'eccellenza.
L'ottimo riscontro della manifestazione è reso possibile dalla filosofia del fare sistema che il Festival attua dalla sua creazione: sinergie con associazioni, altre manifestazioni, istituti culturali, ambasciate (con la presenza dell'ambasciatore di Albania in Francia e del viceministro della cultura albanese), artisti, commercianti, locali. In particolare sono da segnalare le attività in comune con Gastronomadi (indimenticabile il loro omaggio gastroletterario a Nico Orengo e il suo Salto dell'acciuga!), Genova Pride, Genova Film Festival, Tango Festival, Liberodiscrivere, Patto per lo sviluppo della Maddalena, ams ma la lista sarebbe ancora lunga.
Una citazione d'obbligo per Associazione Albergatori di Genova che ha collaborato in maniera significativa alla buona riuscita della manifestazione, oltre ai partner istituzionali Comune di Genova, Regione Liguria, Palazzo Ducale Fondazione per la Cultura e Camera di Commercio e agli sponsor Latte Tigullio, Banco Popolare di Novara, Albiscavi e Tecnosistemi, oltre alla già citata penna ufficiale del Festival, TrattoPEN.
Appena possibile saranno messe on line sul sito ufficiale www.festivalpoesia.org le immagini e le impressioni raccolte durante il Festival.
Le foto ad alta risoluzione sono scaricabili da qui
La prossima edizione del Festival Internazionale di Poesia avrà luogo dal 17 al 27 giugno 2010.
Con 213 poeti e artisti intervenuti, 141 eventi gratuiti, 2 mostre, 63 luoghi di spettacolo, 15.000 spettatori, il Festival Internazionale di Poesia di Genova si conferma la manifestazione italiana più importante per quanto riguarda la poesia.
Tuttavia, non pensiamo che siano soltanto i numeri e l'affluenza del pubblico a dover dare l'idea della portata culturale di un festival nonostante sempre più spesso si applichino criteri prettamente "televisivi" per valutare la bontà e il successo di un evento culturale.
A questo proposito, il nostro Festival riesce da 15 anni a coniugare il successo di pubblico con una programmazione di elevata qualità e ricerca di innovazione.
Anche quest'anno abbiamo proposto personaggi di fama internazionale come il poeta tanghero Horacio Ferrer, il geniale Blixa Bargeld, John Giorno, vero anello di congiunzione tra Pop Art, Beat Generation e Rock alternativo, l'austriaco Raoul Schrott, il repentista funambolico Alex Pimenta, il poeta dei fiumi Jacques Darras, la poetessa e giornalista libanese Joumana Haddad, il poeta tunisino Moncef Ghachem, gli autori albanesi Visar Zhiti e Ylijet Aliçka, solo per citarne alcuni.
A fianco di queste grandi voci della poesia mondiale, si sono succeduti sul palco di Palazzo Ducale alcuni tra i nomi più famosi del panorama italiano, come Vinicio Capossela, Elio, Alessandro Bergonzoni, David Riondino (a sorpresa ha accompagnato Pimenta in una travolgente esibizione), Michele Serra che si è aggiudicato il premio internazionale poesia in bottiglia, Massimo Volume, Bachi Da Pietra, Giovanni Ricciardi.
Come detto, il successo del Festival risiede essenzialmente nell'equilibrio tra autori già noti (che comunque presentano brani o performance creati appositamente per la nostra manifestazione), e poeti e artisti emergenti che vogliamo far conoscere e valorizzare.
Al di là dei nomi, il programma del Festival ha presentato molte iniziative dedicate alle categorie più svantaggiate, come Poeti Dentro, concorso di poesia dedicato ai detenuti nelle carceri liguri, Contro il Destino, ciclo di conferenze sul valore sociale e in alcuni casi salvifico della poesia, la mostra Ri-Costruzione Casa del lavoro Possibile, sulla capacità ideativa e progettuale di persone con disagi mentali, l'asta benefica La Poesia accende la vita, con in palio una lampada Zettelz donata personalmente da Ingo Maurer per ricavare fondi per il reparto di Oncologia dell'Istituto Gaslini. Anche la raccolta di libri per la ricostituenda biblioteca di Fossa (AQ) è andata oltre le aspettative e a questo proposito desideriamo ringraziare sia chi ha portato libri a titolo personale che le case editrici genovesi che hanno collaborato donando alcuni dei loro titoli (fratelli Frilli, il melangolo, liberodiscrivere).
Un ottimo riscontro hanno ottenuto gli appuntamenti classici del Festival, come la Notte della Poesia che ha avuto il merito di invadere con la poesia anche spazi tolti al degrado e alla criminalità avvicinando il pubblico a zone e quartieri spesso dimenticati. A questo proposito, le associazioni e i cittadini residenti hanno dato un aiuto decisivo per fare uscire forte e chiaro il messaggio di voler far vivere tutte le zone del centro storico più grande d'Europa.
Anche i Percorsi Poetici, itinerari guidati seguendo le tracce dei poeti e scrittori inventati nel 1994 e ormai presi come riferimento da molte altre città italiane, hanno fatto registrare una crescente partecipazione, in particolare il percorso notturno e quelli dedicati al cimitero monumentale di Staglieno.
Spettatori attenti e numerosi per i tre Aperitivi Poetici, promossi da TrattoPEN, la penna ufficiale del Festival Internazionale di Poesia. Enzo Costa, Joumana Haddad, Horacio Ferrer hanno raccontato la loro attività letteraria e risposto alle domande del pubblico.
Infine la 5 edizione di Bloomsday, lettura dell'Ulysses di Joyce in oltre 20 luoghi diversi, con la partecipazione di decine di lettori, quest'anno si è ulteriormente ampliata ed arricchita di eventi.
Il Festival ha ampliato la sua sezione di cinema e arti visive, con due importanti anteprime nazionali come The Night Fernando Pessoa met Constantine Cavafy del regista Stelios Charalambopoulos e Preghiera d'amore di Yliejet Aliçka. Altre opere importanti, la videoevocazione di Adriano Kestenholz La latenza del visibile e il documentario Il passaggio della linea di Pietro Marcello. Da citare l'intervento del collettivo di videomaker francesi Short Cut.
Si chiude quindi un'edizione quanto mai ricca di contenuti e di personaggi, nonostante le difficoltà finanziarie e ristrettezze di budget che hanno reso più problematico il mantenimento del palinsesto su standard d'eccellenza.
L'ottimo riscontro della manifestazione è reso possibile dalla filosofia del fare sistema che il Festival attua dalla sua creazione: sinergie con associazioni, altre manifestazioni, istituti culturali, ambasciate (con la presenza dell'ambasciatore di Albania in Francia e del viceministro della cultura albanese), artisti, commercianti, locali. In particolare sono da segnalare le attività in comune con Gastronomadi (indimenticabile il loro omaggio gastroletterario a Nico Orengo e il suo Salto dell'acciuga!), Genova Pride, Genova Film Festival, Tango Festival, Liberodiscrivere, Patto per lo sviluppo della Maddalena, ams ma la lista sarebbe ancora lunga.
Una citazione d'obbligo per Associazione Albergatori di Genova che ha collaborato in maniera significativa alla buona riuscita della manifestazione, oltre ai partner istituzionali Comune di Genova, Regione Liguria, Palazzo Ducale Fondazione per la Cultura e Camera di Commercio e agli sponsor Latte Tigullio, Banco Popolare di Novara, Albiscavi e Tecnosistemi, oltre alla già citata penna ufficiale del Festival, TrattoPEN.
Appena possibile saranno messe on line sul sito ufficiale www.festivalpoesia.org le immagini e le impressioni raccolte durante il Festival.
Le foto ad alta risoluzione sono scaricabili da qui
La prossima edizione del Festival Internazionale di Poesia avrà luogo dal 17 al 27 giugno 2010.
giovedì 25 giugno 2009
Lorenzo Montano
Premio di Poesia - Lorenzo Montano - esiti della 23a edizione
Tra poco nel sito www.anteremedizioni.it cominceranno a prendere corpo gli esiti della 23^ edizione del Premio “Lorenzo Montano”. Le varie giurie sono infatti tutte al lavoro.
Inoltre la direzione artistica della Biennale Anterem sta definendo i dettagli di un programma 2009 che si annuncia ricchissimo di avvenimenti, a carattere internazionale e dentro l’attualità poetica, filosofica e musicale. Come sempre, partendo proprio dai poeti più significativi selezionati da questa edizione del Premio.
Tra poco nel sito www.anteremedizioni.it cominceranno a prendere corpo gli esiti della 23^ edizione del Premio “Lorenzo Montano”. Le varie giurie sono infatti tutte al lavoro.
Inoltre la direzione artistica della Biennale Anterem sta definendo i dettagli di un programma 2009 che si annuncia ricchissimo di avvenimenti, a carattere internazionale e dentro l’attualità poetica, filosofica e musicale. Come sempre, partendo proprio dai poeti più significativi selezionati da questa edizione del Premio.
mercoledì 24 giugno 2009
“Saperti a piedi nudi”
Nota critica di Francesco Tomada
http://rebstein.wordpress.com/2009/06/24/saperti-a-piedi-nudi-di-filippo-amadei/#more-13082
“Saperti a piedi nudi” (Lietocolle) è la seconda raccolta poetica di Filippo Amadei, che aveva esordito nel 2005 con “La casa sul mare” (Il Ponte Vecchio), e si caratterizza per una versificazione distesa, leggibile e sicura. Rispetto all’opera prima sono evidenti i passi in avanti compiuti dal giovane autore forlivese nella consapevolezza dell’utilizzo della lingua e nella definizione di uno stile personale senza nascondere il punto di partenza:
Il tramonto confonde il gioco dei confini
ruota l’emisfero luminoso degli oggetti
li conduce verso l’oceano dell’ombra
anche lo spazio del mio corpo ritorna
tutt’uno, senza equatori né divisioni
di luce, senza ferite – è così che si rinasce.
Si tratta di una poesia trasparente anche nel riconoscere i propri maestri, ed in questo senso il primo nome che viene alla mente è il Valerio Magrelli di “Ora Serrata Retinae” e “Nature e Venature”. Infatti Amadei rivive lo stesso percorso autopercettivo di quei lavori, ne ri-utilizza alcune scelte lessicali, e – con limpidezza e oserei dire umiltà – cita in diverse occasioni i testi del poeta romano negli incipit. Il corpo diventa una pianta, una piazza, ed al suo interno o esterno il pensiero si trasforma in “tumulto non autorizzato” o in rampicante che “fiorisce senza dolore”. O ancora:
Ho boschi grigi nella testa
pieni d’uccelli e se mi chiami
è così forte il richiamo del tuo vento
che mi scuoti alle radici del pensiero
tutti volano via.
Magrelli, Erba, D’Elia, Conte sono alcuni fra gli autori citati nel libro, quasi a definire il punto di partenza della poesia di Amadei, ma va sottolineato come il suo percorso sappia spingersi oltre e seguire coordinate personali. Lo fa ad esempio nel momento in cui recupera il valore assoluto dei singoli istanti e fissa immagini nel momento esatto in cui esse generano stupore, trovando felici congiunzioni e/o contrasti tra una ingenuità infantile e una visione nitidamente adulta degli avvenimenti.
Il salto in alto
(a Fabio)
È tutta una questione di tendini
e torsione del busto oltre l’asta
questo mi dicevi, di guardare
la posa dei piedi nella contrazione
limpida prima del salto, l’allineamento
parallelo delle gambe al terreno
non dimenticherò mai l’agosto del ‘92
nello slancio della nostra ultima infanzia
mentre l’aria fendeva il profilo
del tuo corpo, indecifrabile
un miracolo verso l’alto.
Si svelano in questi momenti nella poesia di Amadei ribaltamenti prospettici inattesi (è l’aria che fende il profilo del corpo) e avvicinamenti in cui il tempo e lo spazio si annullano o trovano la loro comunione. È una scrittura che trova un felice connubio tra l’essere razionale ed al tempo stesso istintiva tanto nella gioia quanto nell’amarezza, che diventa evidente soprattutto quando si parla di rapporti umani in generale oppure affettivi.
(a Laura)
Bordo piscina e acqua
chiara di sole, nel tenero volo
dei tuoi vent’anni ti ricordo
mentre le rondini girano su Padova
resto a 200 chilometri dal non saperti
se felice ora, se in attesa di qualcosa…
eppure ricordo i nostri baci
nel buio della macchina, l’argine
del tuo abbraccio sul porto
è tutto qui l’incompiuto di noi
che prende forma, un guizzo
di riflessi taglienti, la paura
l’immenso che non siamo stati.
I luoghi acquistano in certi momenti uno spessore fisico ed una localizzazione geografica, le distanze vengono quantificate, e la poesia si apre superando il risvolto personale per diventare anche aspra e tagliente. È il momento delle periferie, delle industrie e della cementificazione, e se può essere comune (ma non superfluo) scrivere con disincanto del nostro tempo, non è banale il modo in cui Amadei lo fa.
Dicono che questo sia il benessere
della civiltà postmoderna, un’altalena
tra due fabbriche, un francobollo
di verde per crescere i nostri figli
ma chi ci ha illusi in questo modo
noi qui stiamo come un riverbero
nel vento tagliente delle lamiere.
(Forlì, zona industriale quartiere Quattro.)
Un quartiere che per nome ha un numero, altrove uomini che diventano una “perfetta deposizione di sassi”: al di là della felicità della scrittura, affascina la poliedricità dello sguardo di Amadei, che sa essere intuitivamente ingenuo o razionalmente aperto, passare con uguale dignità dal privato al sociale per spingersi ancora oltre, lontano.
L’omicidio di Benazir Bhutto
Un proiettile ak-47 le ha sfondato il cranio
ha vinto la resistenza dei capelli scuri, la guerra
delle sue mani contro la morte. Lei non voleva
scampare al naufragio, lo dicevano gli occhi
pronti all’inciampo, i nervi tesi delle dita sottili
una questione di mesi giorni secondi, forse
la sua cessata ostinazione si ostina a non finire
commentano gli inviati speciali della BBC
mentre io non riesco a capire se fuori piove
o nevica ghiaccio se questa malinconia
natalizia attraversa me o l’occidente.
Testi tratti da: Filippo Amadei, Saperti a piedi nudi, Faloppio (CO), Lietocolle Libri, 2009.
…
Quando il tempo cambia e dal cielo
cade l’umido che accompagna la sera
la mia caviglia fratturata punta il dito, punge
nella carne – è tutto uno strillare
di tendini e ossa a ricordarmi
il dolore vivo del corpo, così sta il mondo
su assi terrestri traballanti, siamo noi
fragili le sue deboli caviglie.
…
Il sogno è l’infinita ombra del Vero.
Giovanni Pascoli
Nel sole a picco di mezzogiorno
un lampo d’ombra mi sorvola
non so se sogno
non so se sono sveglio
sotto le palpebre chiuse
è un’ala di aeroplano
quella che mi taglia.
…
Che case nuove a Villagrappa
che villette, ne costruiscono una
dietro l’altra ma ancora distaccate
a macchie, in mezzo alle vere case
di una volta, le case della guerra
dai ricordi stratificati, la modernità
invece non ha memoria, è malattia
la febbre del costruire.
…
Appoggio la mano al tronco di palma
ne osservo lo slancio e l’apertura
larga del fogliame, pure vedo
piccoli ramarri arrampicarsi
nello scatto delle code, così si crepa
la corteccia del mio corpo, fioriscono
senza dolore i miei pensieri
verdi al sole, ora chiari, rampicanti.
…
Prendiamo possesso di una nuova casa
come di un’idea, si arriva alla porta
imbagagliati di vecchi ricordi si cerca
la chiave adatta – è già sera
nelle serrature del pensiero
e questa stanza già piena di te
si ostina a restare indecifrabile, chiusa
nella sua perfetta estraneità.
…
Oggi ho pensato a respirare, l’aria
intorno era chiara, dagli scogli
dai pini a ridosso del mare veniva
invisibile come una gioia
e allora ho compreso come la vita
si versava in me, come consueta fluiva
in me da un’altra vita, arriva il momento
di capire il senso di un respiro
di non dare più nulla per scontato.
…
Ho ansia di perdermi, di lasciarmi
vivere nel mucchio, mi è sembrato
di bere dagli occhi di tutti stasera
incompiuta la mia chiara funzione
ma guardando lo stecco del campanile
allungarsi sulle pareti della notte ho capito
di essere sul fondo di una scatola
dimenticato, un cerino di zolfo
senza quel ruvido dolore, senza
lo sfregamento necessario alla vita.
…
Forlì, è ancora inverno
nel corso secolare dei portici
vedo i ragazzi della biblioteca fumare
felici sull’atrio, i fiati caldi delle gole alzarsi
come poveri segnali di vita
chi si ricorderà di noi, del nostro piccolo
fiume di gioia, io li guardo, mi chiedo
se anche oggi si ostinerà a non nevicare
e se davvero siamo noi questa perfetta
deposizione di sassi.
…
a Ilaria,
nel giorno del suo compleanno
Le primissime notizie alla radio:
i politici di destra e sinistra tutti insieme
nella catena delle intercettazioni!
Ma le strade alle cinque e mezza sono ancora libere
dal traffico e tu che sei già sveglia nel caos
di pensieri e coperte arrotolate non sai
che spettacolo è quest’alba, che sono io
la spia che ti ha intercettato
prenderti portarti via dalla tua pena
di vivere, insieme, in salvo
verso la mattina del tuo compleanno.
http://rebstein.wordpress.com/2009/06/24/saperti-a-piedi-nudi-di-filippo-amadei/#more-13082
“Saperti a piedi nudi” (Lietocolle) è la seconda raccolta poetica di Filippo Amadei, che aveva esordito nel 2005 con “La casa sul mare” (Il Ponte Vecchio), e si caratterizza per una versificazione distesa, leggibile e sicura. Rispetto all’opera prima sono evidenti i passi in avanti compiuti dal giovane autore forlivese nella consapevolezza dell’utilizzo della lingua e nella definizione di uno stile personale senza nascondere il punto di partenza:
Il tramonto confonde il gioco dei confini
ruota l’emisfero luminoso degli oggetti
li conduce verso l’oceano dell’ombra
anche lo spazio del mio corpo ritorna
tutt’uno, senza equatori né divisioni
di luce, senza ferite – è così che si rinasce.
Si tratta di una poesia trasparente anche nel riconoscere i propri maestri, ed in questo senso il primo nome che viene alla mente è il Valerio Magrelli di “Ora Serrata Retinae” e “Nature e Venature”. Infatti Amadei rivive lo stesso percorso autopercettivo di quei lavori, ne ri-utilizza alcune scelte lessicali, e – con limpidezza e oserei dire umiltà – cita in diverse occasioni i testi del poeta romano negli incipit. Il corpo diventa una pianta, una piazza, ed al suo interno o esterno il pensiero si trasforma in “tumulto non autorizzato” o in rampicante che “fiorisce senza dolore”. O ancora:
Ho boschi grigi nella testa
pieni d’uccelli e se mi chiami
è così forte il richiamo del tuo vento
che mi scuoti alle radici del pensiero
tutti volano via.
Magrelli, Erba, D’Elia, Conte sono alcuni fra gli autori citati nel libro, quasi a definire il punto di partenza della poesia di Amadei, ma va sottolineato come il suo percorso sappia spingersi oltre e seguire coordinate personali. Lo fa ad esempio nel momento in cui recupera il valore assoluto dei singoli istanti e fissa immagini nel momento esatto in cui esse generano stupore, trovando felici congiunzioni e/o contrasti tra una ingenuità infantile e una visione nitidamente adulta degli avvenimenti.
Il salto in alto
(a Fabio)
È tutta una questione di tendini
e torsione del busto oltre l’asta
questo mi dicevi, di guardare
la posa dei piedi nella contrazione
limpida prima del salto, l’allineamento
parallelo delle gambe al terreno
non dimenticherò mai l’agosto del ‘92
nello slancio della nostra ultima infanzia
mentre l’aria fendeva il profilo
del tuo corpo, indecifrabile
un miracolo verso l’alto.
Si svelano in questi momenti nella poesia di Amadei ribaltamenti prospettici inattesi (è l’aria che fende il profilo del corpo) e avvicinamenti in cui il tempo e lo spazio si annullano o trovano la loro comunione. È una scrittura che trova un felice connubio tra l’essere razionale ed al tempo stesso istintiva tanto nella gioia quanto nell’amarezza, che diventa evidente soprattutto quando si parla di rapporti umani in generale oppure affettivi.
(a Laura)
Bordo piscina e acqua
chiara di sole, nel tenero volo
dei tuoi vent’anni ti ricordo
mentre le rondini girano su Padova
resto a 200 chilometri dal non saperti
se felice ora, se in attesa di qualcosa…
eppure ricordo i nostri baci
nel buio della macchina, l’argine
del tuo abbraccio sul porto
è tutto qui l’incompiuto di noi
che prende forma, un guizzo
di riflessi taglienti, la paura
l’immenso che non siamo stati.
I luoghi acquistano in certi momenti uno spessore fisico ed una localizzazione geografica, le distanze vengono quantificate, e la poesia si apre superando il risvolto personale per diventare anche aspra e tagliente. È il momento delle periferie, delle industrie e della cementificazione, e se può essere comune (ma non superfluo) scrivere con disincanto del nostro tempo, non è banale il modo in cui Amadei lo fa.
Dicono che questo sia il benessere
della civiltà postmoderna, un’altalena
tra due fabbriche, un francobollo
di verde per crescere i nostri figli
ma chi ci ha illusi in questo modo
noi qui stiamo come un riverbero
nel vento tagliente delle lamiere.
(Forlì, zona industriale quartiere Quattro.)
Un quartiere che per nome ha un numero, altrove uomini che diventano una “perfetta deposizione di sassi”: al di là della felicità della scrittura, affascina la poliedricità dello sguardo di Amadei, che sa essere intuitivamente ingenuo o razionalmente aperto, passare con uguale dignità dal privato al sociale per spingersi ancora oltre, lontano.
L’omicidio di Benazir Bhutto
Un proiettile ak-47 le ha sfondato il cranio
ha vinto la resistenza dei capelli scuri, la guerra
delle sue mani contro la morte. Lei non voleva
scampare al naufragio, lo dicevano gli occhi
pronti all’inciampo, i nervi tesi delle dita sottili
una questione di mesi giorni secondi, forse
la sua cessata ostinazione si ostina a non finire
commentano gli inviati speciali della BBC
mentre io non riesco a capire se fuori piove
o nevica ghiaccio se questa malinconia
natalizia attraversa me o l’occidente.
Testi tratti da: Filippo Amadei, Saperti a piedi nudi, Faloppio (CO), Lietocolle Libri, 2009.
…
Quando il tempo cambia e dal cielo
cade l’umido che accompagna la sera
la mia caviglia fratturata punta il dito, punge
nella carne – è tutto uno strillare
di tendini e ossa a ricordarmi
il dolore vivo del corpo, così sta il mondo
su assi terrestri traballanti, siamo noi
fragili le sue deboli caviglie.
…
Il sogno è l’infinita ombra del Vero.
Giovanni Pascoli
Nel sole a picco di mezzogiorno
un lampo d’ombra mi sorvola
non so se sogno
non so se sono sveglio
sotto le palpebre chiuse
è un’ala di aeroplano
quella che mi taglia.
…
Che case nuove a Villagrappa
che villette, ne costruiscono una
dietro l’altra ma ancora distaccate
a macchie, in mezzo alle vere case
di una volta, le case della guerra
dai ricordi stratificati, la modernità
invece non ha memoria, è malattia
la febbre del costruire.
…
Appoggio la mano al tronco di palma
ne osservo lo slancio e l’apertura
larga del fogliame, pure vedo
piccoli ramarri arrampicarsi
nello scatto delle code, così si crepa
la corteccia del mio corpo, fioriscono
senza dolore i miei pensieri
verdi al sole, ora chiari, rampicanti.
…
Prendiamo possesso di una nuova casa
come di un’idea, si arriva alla porta
imbagagliati di vecchi ricordi si cerca
la chiave adatta – è già sera
nelle serrature del pensiero
e questa stanza già piena di te
si ostina a restare indecifrabile, chiusa
nella sua perfetta estraneità.
…
Oggi ho pensato a respirare, l’aria
intorno era chiara, dagli scogli
dai pini a ridosso del mare veniva
invisibile come una gioia
e allora ho compreso come la vita
si versava in me, come consueta fluiva
in me da un’altra vita, arriva il momento
di capire il senso di un respiro
di non dare più nulla per scontato.
…
Ho ansia di perdermi, di lasciarmi
vivere nel mucchio, mi è sembrato
di bere dagli occhi di tutti stasera
incompiuta la mia chiara funzione
ma guardando lo stecco del campanile
allungarsi sulle pareti della notte ho capito
di essere sul fondo di una scatola
dimenticato, un cerino di zolfo
senza quel ruvido dolore, senza
lo sfregamento necessario alla vita.
…
Forlì, è ancora inverno
nel corso secolare dei portici
vedo i ragazzi della biblioteca fumare
felici sull’atrio, i fiati caldi delle gole alzarsi
come poveri segnali di vita
chi si ricorderà di noi, del nostro piccolo
fiume di gioia, io li guardo, mi chiedo
se anche oggi si ostinerà a non nevicare
e se davvero siamo noi questa perfetta
deposizione di sassi.
…
a Ilaria,
nel giorno del suo compleanno
Le primissime notizie alla radio:
i politici di destra e sinistra tutti insieme
nella catena delle intercettazioni!
Ma le strade alle cinque e mezza sono ancora libere
dal traffico e tu che sei già sveglia nel caos
di pensieri e coperte arrotolate non sai
che spettacolo è quest’alba, che sono io
la spia che ti ha intercettato
prenderti portarti via dalla tua pena
di vivere, insieme, in salvo
verso la mattina del tuo compleanno.
martedì 23 giugno 2009
Laboratorio gastronomico iraniano
Zahra, Arezouh Daniela et notre prof Farhad Astari
guarda
Un modo di stare assieme, di fare cucina, di divertirsi con sempre
presente l'amore per la differenza
Khoda Hafez
lunedì 22 giugno 2009
R Ibba
Ci sono due piccoli segni sulla luna
stamani, amore mio,
stamani che l’alba era ai colori del fuoco
e la luna tardava ad immaginarsi tramonto.
Due piccoli segni di luna sempre vivi nel giorno,
come uno stridio d’aquila maggiore,
come danza di cornacchie svelte nell’aria del sole.
Due piccoli segni come seni,
pieni di gioia, accarezzati di piacere
vivi, rotondi come la vita,
affamati di vita
a canti lunghi,
a risonanze piene,
come di capinera.
Oggi il tuo Corpo, Signore Gesù, è Attesa e Silenzio.
Attesa che alla tua mensa sia arrivi l'ospite d'onore, Lazzaro miserabile coperto di piaghe; giunga Maria di Magdala peccatrice e prostituta; entri Matteo con altri compari degli oppressori e si siedano, timidamente, agli ultimi posti; giunga Saulo tuo persecutore; si accomodi Marta che qui non deve preparare, ma solo godere; si sieda Pietro che ti ha rinnegato; entri Giuda che ti ha tradito; partecipi Giovanni innamorato, col giovane ricco spogliato finalmente del mondo per arricchirsi, per sempre, solo del tuo sorriso; che Maria si segga dolcemente per sfamare di te i suoi occhi innamorati del sole.
C'è silenzio tra di noi, ultimi arrivati, che speriamo di sentire le voci dei primi arrivati; c'è silenzio tra i primi arrivati, che sperano di veder arrivare gli ultimi chiamati alla tua mensa, dal buio e dalle tenebre dei soldi e dell'oro, dominio del maligno. Vederli arrivare impoveriti, umiliati, spaventati. Vederli arrivare in silenzio, con il cuore in silenzio.
Come un fiordaliso, una papavera di rosso e di cielo,
come un raspo di rose selvagge nate a grappoli,
uno storto di stelle evaporate in cieli caldi.
Come una cesta di frutta, una scodella di miele,
come un seno di latte a bambini di gioia,
come un uomo zitto di buon lavoro e stanchezza.
Come una governata di donne a stoviglie e cenere,
una manata di lavoro allo sporco ed al rotto,
come una cestinata di bimbe cinguettanti la vita.
Come l'ultimo tuo sorriso, ultimo nel mondo
avanti a sorriderci ancora quando
(come del frutto della vite spumeggiante rossi)
tornerai vivente, infuocato di vita.
Ultimo tuo sorriso nascosto,
nato nel reclinarsi del tuo capo,
nell'Accoglienza del Padre che t'accoglieva.
Cibo.
È il momento in cui nessuno è respinto.
A respingenti sui bagnasciuga
- dove corrono treni -
- di strade ferrate, a sangue -
sangue, morti vivi, sangui
cinesi, italiani, indiani, non aristocratici non eugenetici non
selezionati, non
fatti a razza pura - razza d’imbecilli.
C’erano ancora i vapori,
da bimbi,
bianchi di fuliggine odorosi di modernità,
cavalli a vapore selvaggi
che t’immaginavi
branchi cumulonembi a nitrire
corse libere sopra pezze di cielo.
Ora ci sono gli storni,
a dozzine, ancora,
capinere di frotte di luce
usignoli di massi di sole
passeri di foreste di gioia,
ancora gli storni,
che migrano come ebrei orientali
- coltissimi selvaggi -
- antichi ostaggi dell’Amore Dio -
- gli impronunciabili -
ed ancora
migrano gli storni
- oltre leggi stolte, capiti morti -
- oltre le inique, le decisioni imbecilli -
sempre migrano gli storni
a piedi di ali
a zampettature di voli
a fatiche d’oriente luce,
diventarsi luce,
oriente che si fa oriente
luce di luce da buchi di nero:
siepe lentischio
che s’apre l’infinito
schiudendo Dio, tutto
in lei, nel suo corpo
così,
così piccolo.
stamani, amore mio,
stamani che l’alba era ai colori del fuoco
e la luna tardava ad immaginarsi tramonto.
Due piccoli segni di luna sempre vivi nel giorno,
come uno stridio d’aquila maggiore,
come danza di cornacchie svelte nell’aria del sole.
Due piccoli segni come seni,
pieni di gioia, accarezzati di piacere
vivi, rotondi come la vita,
affamati di vita
a canti lunghi,
a risonanze piene,
come di capinera.
Oggi il tuo Corpo, Signore Gesù, è Attesa e Silenzio.
Attesa che alla tua mensa sia arrivi l'ospite d'onore, Lazzaro miserabile coperto di piaghe; giunga Maria di Magdala peccatrice e prostituta; entri Matteo con altri compari degli oppressori e si siedano, timidamente, agli ultimi posti; giunga Saulo tuo persecutore; si accomodi Marta che qui non deve preparare, ma solo godere; si sieda Pietro che ti ha rinnegato; entri Giuda che ti ha tradito; partecipi Giovanni innamorato, col giovane ricco spogliato finalmente del mondo per arricchirsi, per sempre, solo del tuo sorriso; che Maria si segga dolcemente per sfamare di te i suoi occhi innamorati del sole.
C'è silenzio tra di noi, ultimi arrivati, che speriamo di sentire le voci dei primi arrivati; c'è silenzio tra i primi arrivati, che sperano di veder arrivare gli ultimi chiamati alla tua mensa, dal buio e dalle tenebre dei soldi e dell'oro, dominio del maligno. Vederli arrivare impoveriti, umiliati, spaventati. Vederli arrivare in silenzio, con il cuore in silenzio.
Come un fiordaliso, una papavera di rosso e di cielo,
come un raspo di rose selvagge nate a grappoli,
uno storto di stelle evaporate in cieli caldi.
Come una cesta di frutta, una scodella di miele,
come un seno di latte a bambini di gioia,
come un uomo zitto di buon lavoro e stanchezza.
Come una governata di donne a stoviglie e cenere,
una manata di lavoro allo sporco ed al rotto,
come una cestinata di bimbe cinguettanti la vita.
Come l'ultimo tuo sorriso, ultimo nel mondo
avanti a sorriderci ancora quando
(come del frutto della vite spumeggiante rossi)
tornerai vivente, infuocato di vita.
Ultimo tuo sorriso nascosto,
nato nel reclinarsi del tuo capo,
nell'Accoglienza del Padre che t'accoglieva.
Cibo.
È il momento in cui nessuno è respinto.
A respingenti sui bagnasciuga
- dove corrono treni -
- di strade ferrate, a sangue -
sangue, morti vivi, sangui
cinesi, italiani, indiani, non aristocratici non eugenetici non
selezionati, non
fatti a razza pura - razza d’imbecilli.
C’erano ancora i vapori,
da bimbi,
bianchi di fuliggine odorosi di modernità,
cavalli a vapore selvaggi
che t’immaginavi
branchi cumulonembi a nitrire
corse libere sopra pezze di cielo.
Ora ci sono gli storni,
a dozzine, ancora,
capinere di frotte di luce
usignoli di massi di sole
passeri di foreste di gioia,
ancora gli storni,
che migrano come ebrei orientali
- coltissimi selvaggi -
- antichi ostaggi dell’Amore Dio -
- gli impronunciabili -
ed ancora
migrano gli storni
- oltre leggi stolte, capiti morti -
- oltre le inique, le decisioni imbecilli -
sempre migrano gli storni
a piedi di ali
a zampettature di voli
a fatiche d’oriente luce,
diventarsi luce,
oriente che si fa oriente
luce di luce da buchi di nero:
siepe lentischio
che s’apre l’infinito
schiudendo Dio, tutto
in lei, nel suo corpo
così,
così piccolo.
BAGNO ULISSE 82 CESENATICO PONENTE
giovedì 18 giugno 2009
HERMAN MELVILLE "BILLY BUDD"
Sabato 20 giugno - Ore 18.00
books in the casba presenta
HERMAN MELVILLE "BILLY BUDD"
Nuova traduzione e cura di ALESSANDRO CENI
(Classici Feltrinelli, 2009)
Ne discutono Alessandro Ceni e Massimo Bacigalupo
Massimo Bacigalupo insegna letteratura americana alla Facoltà di Lingue dell’Università di Genova. Recentemente ha curato Esitazione di Robin Robertson (Guanda) e Americus di Lawrence Ferlinnghetti (Interlinea). Nel 1991 ha curato un’edizione in due volumi delle Opere di Melville per i Grandi Classici Oscar. E’ suo il commento e la revisione dell’edizione di Moby-Dick negli Oscar Mondadori.
Alessandro Ceni, poeta e pittore fiorentino, ha tradotto Poe, Durrell, Keats, Byron, Stevenson, Wilde ecc. Per Feltrinelli ha tradotto fra l'altro Moby-Dick (2007) di Melville, La ballata del vecchio marinaio e Kubla Khan di Coleridge, Lord Jim di Conrad.
Le talpe di Moby Dick
di Massimo Bacigalupo
(Il Manifesto-Alias 31, 2 agosto 2008, p. 21)
Leggere o rileggere Moby-Dick potrebbe essere un bel proposito per l’estate, visto che la fama di libro-mondo, di vero specchio dell’umanità e dell’America alle soglie dell’apocalisse, è affatto meritata. Può dissuaderci la lunghezza, ma in realtà i 135 capitoli sono per lo più brevi, si possono gustare col gelato. E la comicità è una nota ricorrente, accanto ovviamente al sublime e tutto il resto. Ma chi non si destreggia nel bell’inglese del 1851 dovrà servirsi di una delle otto traduzioni integrali disponibili da noi, in primis quella classica del giovane Pavese, che ha un bel respiro d’autore e dunque è tutto sommato da preferire. Una delle più recenti, di Bernardo Draghi (Frassinelli, pp. 758, €12,39), è alquanto meritoria per freschezza e impegno, ed è unica nel contenere una postfazione del traduttore sui criteri addottati nella versione. Così Draghi ci spiega perché ha scelto di rendere il celebre incipit “Call me Ishmael” con “Diciamo che mi chiamo Ismaele”: per sottolineare che Ishmael non è necessariamente il “vero” nome del narratore ma un nome simbolico che egli assume (Ismaele orfano nel deserto). D’altra parte la forza dell’imperativo originale si perde: “Chiamatemi Ishmael” anche in italiano ha molti sensi, compreso quello dell’autonominazione simbolica. Nel presentare una sua lettura scenica di Moby-Dick, Alessandro Baricco ebbe a dire che l’avvio è ammirevole nella sua semplicità, “come dire, mi chiamo Mario Rossi”. Nulla di più sbagliato: Ismaele non è Rossi! Tutto in questo romanzo sarà ricco di valenze, e l’imperativo annuncia che esso è tutto una apostrofe al lettore, chiamato in causa ad assistere alla tremenda vicenda.
Nella postfazione Draghi racconta come grazie alla rete e altro ha potuto venire a capo di problemi irrisolti nelle precedenti traduzioni e cita l’inizio del capitolo 110, dove per cercare una falla nella stiva si procede a issare in coperta tutte le botti, scendendo sempre più giù, “mandando quelle moli gigantesche (gigantic moles) da quella nera mezzanotte in alto nella luce del sole” (Nemi D’Agostino). Draghi dopo una lunga discettazione conclude che “moles” sono talpe e traduce “giganteschi talponi”, sostenendo di essere il primo a essersene accorto. Poiché nel 1991 mi è toccato rivedere per Mondadori la traduzione di Cesarina Minoli, ho effettuato un controllo. In effetti, Minoli traduce “moli gigantesche”. Ma la versione da me riveduta, disponibile negli Oscar, legge “quelle talpe gigantesche”. Chissà perché Draghi afferma che l’errore è comune a tutte le traduzioni, quando invece esso è corretto in quella pubblicata nella collana di tascabili più diffusa in Italia. Visto che tutti i traduttori e revisori hanno distrazioni, sono contento di averla scampata in questa occasione e rivendico le mie talpe... Non per questo sono meno grato a Draghi di avere simpaticamente discusso i suoi procedimenti: se no non mi sarei accorto di questo piccolo nodo. Chissà che esso non incuriosisca qualcuno e gli faccia mettere Moby-Dick (scelga lui o lei la traduzione!) nella sacca da viaggio.
books in the casba presenta
HERMAN MELVILLE "BILLY BUDD"
Nuova traduzione e cura di ALESSANDRO CENI
(Classici Feltrinelli, 2009)
Ne discutono Alessandro Ceni e Massimo Bacigalupo
Massimo Bacigalupo insegna letteratura americana alla Facoltà di Lingue dell’Università di Genova. Recentemente ha curato Esitazione di Robin Robertson (Guanda) e Americus di Lawrence Ferlinnghetti (Interlinea). Nel 1991 ha curato un’edizione in due volumi delle Opere di Melville per i Grandi Classici Oscar. E’ suo il commento e la revisione dell’edizione di Moby-Dick negli Oscar Mondadori.
Alessandro Ceni, poeta e pittore fiorentino, ha tradotto Poe, Durrell, Keats, Byron, Stevenson, Wilde ecc. Per Feltrinelli ha tradotto fra l'altro Moby-Dick (2007) di Melville, La ballata del vecchio marinaio e Kubla Khan di Coleridge, Lord Jim di Conrad.
Le talpe di Moby Dick
di Massimo Bacigalupo
(Il Manifesto-Alias 31, 2 agosto 2008, p. 21)
Leggere o rileggere Moby-Dick potrebbe essere un bel proposito per l’estate, visto che la fama di libro-mondo, di vero specchio dell’umanità e dell’America alle soglie dell’apocalisse, è affatto meritata. Può dissuaderci la lunghezza, ma in realtà i 135 capitoli sono per lo più brevi, si possono gustare col gelato. E la comicità è una nota ricorrente, accanto ovviamente al sublime e tutto il resto. Ma chi non si destreggia nel bell’inglese del 1851 dovrà servirsi di una delle otto traduzioni integrali disponibili da noi, in primis quella classica del giovane Pavese, che ha un bel respiro d’autore e dunque è tutto sommato da preferire. Una delle più recenti, di Bernardo Draghi (Frassinelli, pp. 758, €12,39), è alquanto meritoria per freschezza e impegno, ed è unica nel contenere una postfazione del traduttore sui criteri addottati nella versione. Così Draghi ci spiega perché ha scelto di rendere il celebre incipit “Call me Ishmael” con “Diciamo che mi chiamo Ismaele”: per sottolineare che Ishmael non è necessariamente il “vero” nome del narratore ma un nome simbolico che egli assume (Ismaele orfano nel deserto). D’altra parte la forza dell’imperativo originale si perde: “Chiamatemi Ishmael” anche in italiano ha molti sensi, compreso quello dell’autonominazione simbolica. Nel presentare una sua lettura scenica di Moby-Dick, Alessandro Baricco ebbe a dire che l’avvio è ammirevole nella sua semplicità, “come dire, mi chiamo Mario Rossi”. Nulla di più sbagliato: Ismaele non è Rossi! Tutto in questo romanzo sarà ricco di valenze, e l’imperativo annuncia che esso è tutto una apostrofe al lettore, chiamato in causa ad assistere alla tremenda vicenda.
Nella postfazione Draghi racconta come grazie alla rete e altro ha potuto venire a capo di problemi irrisolti nelle precedenti traduzioni e cita l’inizio del capitolo 110, dove per cercare una falla nella stiva si procede a issare in coperta tutte le botti, scendendo sempre più giù, “mandando quelle moli gigantesche (gigantic moles) da quella nera mezzanotte in alto nella luce del sole” (Nemi D’Agostino). Draghi dopo una lunga discettazione conclude che “moles” sono talpe e traduce “giganteschi talponi”, sostenendo di essere il primo a essersene accorto. Poiché nel 1991 mi è toccato rivedere per Mondadori la traduzione di Cesarina Minoli, ho effettuato un controllo. In effetti, Minoli traduce “moli gigantesche”. Ma la versione da me riveduta, disponibile negli Oscar, legge “quelle talpe gigantesche”. Chissà perché Draghi afferma che l’errore è comune a tutte le traduzioni, quando invece esso è corretto in quella pubblicata nella collana di tascabili più diffusa in Italia. Visto che tutti i traduttori e revisori hanno distrazioni, sono contento di averla scampata in questa occasione e rivendico le mie talpe... Non per questo sono meno grato a Draghi di avere simpaticamente discusso i suoi procedimenti: se no non mi sarei accorto di questo piccolo nodo. Chissà che esso non incuriosisca qualcuno e gli faccia mettere Moby-Dick (scelga lui o lei la traduzione!) nella sacca da viaggio.
Tomaso Kemeny e di Giancarlo Majorino
giovedì 18 GIUGNO ore 21
Tre feste dell’immortalità
(Sequenza d’incontri tra musica e poesia)
a cura di Tomaso Kemeny e di Giancarlo Majorino
Alcuni fondatori della “Casa della Poesia”, a chiusura della stagione, leggeranno testi di autori italiani che evocano risonanze nel loro immaginario.
Si tratta di testi in grado di spalancare l’atto effimero effettuale della lettura all’immortalità simbolica nello spazio culturale dove “la morte non ha dominio”.
L’aura dell’immortalità verrà nell’occasione rafforzata dall’apporto decisivo del grande pianista (clavicembalista, direttore d’orchestra) Antonio Ballista, fondatore, tra l’altro, dello straordinario gruppo di solisti noti come “900 e Oltre”.
mercoledì 17 giugno 2009
da Herar PP - poesia
ASSE DA STIRO PRIZE - NEWS
ASSE DA STIRO PRIZE - NEWS
Il Prize non molla, l'unico premio letterario non allineato continua a raccogliere adesioni.
Fatelo conoscere ai vostri amici, ai vicini di banco o al banco dei vicini, agli animali domestici e ai gasteropodi!
Dopo l'estate partirà la preparazione della serata d'onore.
Nel centenario del Futurismo non c'è miglior modo di celebrarlo senza celebrarlo, ristabilire un'azione critica, una trasformazione, per quanto circostanziata del reale.
Il Prize non molla, l'unico premio letterario non allineato continua a raccogliere adesioni.
Fatelo conoscere ai vostri amici, ai vicini di banco o al banco dei vicini, agli animali domestici e ai gasteropodi!
Dopo l'estate partirà la preparazione della serata d'onore.
Nel centenario del Futurismo non c'è miglior modo di celebrarlo senza celebrarlo, ristabilire un'azione critica, una trasformazione, per quanto circostanziata del reale.
UN TANKA PER AUNG SAN SUU KYI
UN TANKA PER AUNG SAN SUU KYI
Grandioso faro
Vivida luce irradi
In tutto il mondo
Pur se tiranni ciechi
Tentan tagliarne i raggi.
*
Abbazia di Kàlena/Peschici (FG)
nel giorno del Drappo Bianco
per “Aung San Suu Kyi libera”
Vincenzo Campobasso
(IN SFOGHI D’ANIMA)
Grandioso faro
Vivida luce irradi
In tutto il mondo
Pur se tiranni ciechi
Tentan tagliarne i raggi.
*
Abbazia di Kàlena/Peschici (FG)
nel giorno del Drappo Bianco
per “Aung San Suu Kyi libera”
Vincenzo Campobasso
(IN SFOGHI D’ANIMA)
lunedì 15 giugno 2009
Arezou Shamsarya et Daniela
L a b o r a t o r i o g a s t r o n o m i c o
Arezou Shamsarya et Daniela
Présentent
un rencontre avec la culture iranienne
Le concept du laboratoire est celui d'offrir l'art de la cuisine à travers la façon simple et sain, mais avec gout, avec des recettes choisis en traçant un pont infini entre les différentes cultures et traditions du monde
22 juin 2009 dalle ore 20.00 alle 23.00
Rue Belliard, 187 – 1040 Bruxelles
Un menu crée avec un parcours être tradition et innovation
Soupe djo (soupe de blé)
Khoreshte karafs
Kabae digui
et/ou
zereshk polo
La soirée terminera avec la présentation et dégustation d'un dessert iranien de Love Difference Pastries
Special thanks:
Emanuela Baldi Love Difference
Francesco Giordani
Francesco Giordani
"Le cose avevano sempre ragione" (in edition) e altro
E’ la coda di un millennio ferito
che fugge o lo sguardo di una donna
che non siede nel tuo treno
è la forma precisa della provincia
o forse ancora meno
l’improvviso non accadere delle cose
o lo sguardo delle carte stanche
è il lento, matematico sfiorire delle rose
quando guardi il segreto trasparente
stretto nelle tue mani bianche
come quello che non hai potuto
http://oboe.altervista.org/audio/lacoda.mp3
E’ il tempo
il tempo che manca
e una stanca menzogna
di rughe rubate
disegna sul volto
il tempo e il volto
già estraneo
già preso nell’eco
della notte e stanco
sbatte il vento le porte
ancora aperte
se le dita accarezzano
stanche l’amore
e non trattengono niente
http://oboe.altervista.org/audio/iltempo.mp3
inediti
Venerdì sono innamorato (da un’idea di Robert Smith)
Sfogliano i giorni sul quaderno
di una vaga settimana
e lunedì avrei voluto essere morto
e martedì già affilavo sottile una lama
per bucare l’illusione
che ancora mi riguardava
ma venerdì sono innamorato
è un’arte di vivere nascosti
in una piega del mattino
è avere una rana invisibile
nella tasca con cui parlare
è appartenere al balbettio
di una domenica piovasca
che ripropaga lo scricchiolio
del Giudizio ormai vicino
ma venerdì sono innamorato
ho costruito un’arca per salvare
tutto quello che non esiste
dal pericolo di accadere
e non importa il male o il bene
cos’è perduto per sempre o guadagnato
venerdì sono innamorato
http://oboe.altervista.org/audio/venerdi.mp3
Toccare il corpo di una donna
è sentire il ronzio delle cellule
vibrare caldo nella bianca
armonia degli universi
sfiorare la pelle è ridere
l’allegria di mondi possibili
non ancora accaduti diversi
la carne lenta si schiude
come il perdono e più lenta
l’aria è il respiro e l’oscuro
delirio del silenzio
offerto alla sua evidenza
toccare il corpo di una donna
è il nome di una cosa senza nome
sentire di nuovo sorella la speranza
http://oboe.altervista.org/audio/toccare.mp3
Autodafè
Ma allora la sera lascia sola
la mia vita davanti a uno specchio
scapigliato: non è questa
la vita che voglio o avevo disegnato
sull’orlo di un foglio
che adesso è sparito nel nulla
come un odore di infanzia
che talvolta ritorna
a soffiare un alone di luce
appannata sul vetro e una crepa
nel cuore, quello che manca
è una stanza più grande migliore
o soltanto più bianca
ma non so ricordare più nulla da allora
bevo un’altra coca-cola ancora
http://oboe.altervista.org/audio/autodafe.mp3
“Bloomsday”
lettura del capitolo “Nausicaa”
Lettori:
Lucetta Frisa, Stephanos Stephanides, Antonio Vivaldi
Organizzazione:
Massimo Bacigalupo e Claudio Pozzani
Dal 2006 il 16 giugno “Bloomsday”è celebrato a Genova con un evento unico al mondo: la lettura integrale dell’Ulisse di James Joyce, storia eroicomica di un piazzista, Leopold Bloom, una moglie adultera, Molly Bloom, e uno studente, Stephen Dedalus (si pronuncia “Stiven Dedalus”), che vagano per Dublino il 16 giugno 1904.
Nel contesto del Festival Internazionale di Poesia di Genova un centinaio di volontari dà vita al capolavoro di Joyce in diciotto luoghi analoghi a quelli in cui si svolgono i diciotto capitoli del grandioso romanzo.
Nel capitolo 13, “Nausicaa”, dopo le fatiche della giornata Leopold Bloom indugia al tramonto sulla spiaggia di Sandymount. Tre ragazze, Gerty, Edy e Cissy, chiacchierano sorvegliando i giochi di due bambini. Gerty vive in un mondo di fantasie sentimentali ed è colpita dal misterioso straniero che la occhieggia di lontano. Che sia lui il grande amore venuto da lontano di cui favoleggiano i suoi romanzi preferiti? Da una chiesa vicina provengono le litanie del vespro. Inizia uno spettacolo pirotecnico e Gerty si piega indietro, sempre più indietro... L’episodio (che Joyce disse diviso in due parti: tumescenza/detumescenza) si chiude con un magnifico soliloquio di Bloom. Cala la notte.
Lettori: Lucetta Frisa, Antonio Vivaldi
Organizzazione: Massimo Bacigalupo e Claudio Pozzani
Testo di riferimento:
Ulisse di James Joyce, traduzione di Giulio De Angelis, Edizioni Mondadori
Per aggiornamenti: http://www.festivalpoesia.org/
Lettori:
Lucetta Frisa, Stephanos Stephanides, Antonio Vivaldi
Organizzazione:
Massimo Bacigalupo e Claudio Pozzani
Dal 2006 il 16 giugno “Bloomsday”è celebrato a Genova con un evento unico al mondo: la lettura integrale dell’Ulisse di James Joyce, storia eroicomica di un piazzista, Leopold Bloom, una moglie adultera, Molly Bloom, e uno studente, Stephen Dedalus (si pronuncia “Stiven Dedalus”), che vagano per Dublino il 16 giugno 1904.
Nel contesto del Festival Internazionale di Poesia di Genova un centinaio di volontari dà vita al capolavoro di Joyce in diciotto luoghi analoghi a quelli in cui si svolgono i diciotto capitoli del grandioso romanzo.
Nel capitolo 13, “Nausicaa”, dopo le fatiche della giornata Leopold Bloom indugia al tramonto sulla spiaggia di Sandymount. Tre ragazze, Gerty, Edy e Cissy, chiacchierano sorvegliando i giochi di due bambini. Gerty vive in un mondo di fantasie sentimentali ed è colpita dal misterioso straniero che la occhieggia di lontano. Che sia lui il grande amore venuto da lontano di cui favoleggiano i suoi romanzi preferiti? Da una chiesa vicina provengono le litanie del vespro. Inizia uno spettacolo pirotecnico e Gerty si piega indietro, sempre più indietro... L’episodio (che Joyce disse diviso in due parti: tumescenza/detumescenza) si chiude con un magnifico soliloquio di Bloom. Cala la notte.
Lettori: Lucetta Frisa, Antonio Vivaldi
Organizzazione: Massimo Bacigalupo e Claudio Pozzani
Testo di riferimento:
Ulisse di James Joyce, traduzione di Giulio De Angelis, Edizioni Mondadori
Per aggiornamenti: http://www.festivalpoesia.org/
"Poesia in Bottiglia" al giornalista Michele Serra
17 GIUGNO 2009
Genova - Palazzo Ducale
Salone del Minor Consiglio
SECONDA EDIZIONE
Premio Internazionale
"Poesia in Bottiglia" al giornalista Michele Serra
"Sono un poeta molto timido perchého troppo rispetto per i poeti veri, preferisco scrivere versi poco e quasi sempre per gioco. Mi affascina e mi diverte in particolare il fascino delle rime e delle assonanze, la parola che suona, la parola che echeggia" così ha detto Michele Serra, giornalista, scrittore, autore televisivo, apprendendo che il Circolo Viaggiatori nel Tempo, in collaborazione con l'Associazione Produttori Bottega del Grignolino d'Asti, ha deciso di assegnargli il Premio internazionale "Poesia in bottiglia". La cerimonia di consegna della targa, e di 48 bottiglie di Grignolino d'Asti, si svolgerà a Genova mercoledì 17 giugno alle ore 18 nel salone del Minor Consiglio di Palazzo Ducale. L'evento è tra gli appuntamenti di spicco della quindicesima edizione del Festival Internazionale di Poesia, la prestigiosa manifestazione genovese dedicata a versi e rime, in programma dall'11 al 21 giugno che, di recente, ha ottenuto dal Ministero dei Beni e Attività Culturali il premio quale miglior progetto italiano di poesia. Il premio "Poesia in bottiglia" è giunto alla seconda edizione, nel 2008 il riconoscimento venne conferito allo scrittore e poeta Tonino Guerra.
Giornalista di quotidiani e settimanali italiani (L'Unità, Cuore che ha fondato e diretto, Epoca), Michele Serra è autore de "L'amaca", rubrica quotidiana de La Repubblica, e di "Satira preventiva", pubblicata sul settimanale L'Espresso. Ha firmato diversi programmi televisivi di successo (tra gli altri "C'era un ragazzo" di Gianni Morandi nel 1999 e "125 milioni di caz..te" di Adriano Celentano nel 2001); è tra gli autori di "Che tempo che fa" di Fabio Fazio. Tra le numerose pubblicazioni, tutte per Feltrinelli, anche due libri di versi satirici: Poesie per incartare l'insalata e Canzoni politiche.
"C'è un legame tra vino e poesia - spiega il direttore artistico del Festival Internazionale di Poesia, Claudio Pozzani - un legame fatto di esperienza e creatività, misura e tecnica. Con il premio non abbiamo solo voluto conferire un riconoscimento al poeta come autore di versi ma, soprattutto, all'essere umano e al suo approccio creativo e poetico alla vita e all'arte. Anche per questo, non è stato scelto un vino qualsiasi, ma un vino speciale: il Grignolino d'Asti".
E a proposito del Grignolino, Serra dice: "Lo conosco, so che è un vino umile ma sorprendente, non appartiene alla nobiltà dei Grandi Piemontesi ma almeno non mette soggezione. E' un vino da convivio, da amici, da compagnia. Così almeno lo vedo io".
Questo vino piemontese è stato definito "Vino anarchico testabalorda" dal massimo "poeta" del vino Luigi Veronelli. Non è quindi un caso se un vino giudicato così diverso dagli altri e a sé stante venga scelto per premiare una categoria molto simile: quella dei poeti.
L'ideazione e la direzione del Premio internazionale "Poesia in bottiglia" è di Claudio Pozzani, in collaborazione con Paolo Podestà, Patrizia Baldizzone, Circolo Viaggiatori nel tempo, l'Associazione Produttori Bottega del Grignolino d'Asti.
Orario: 18.30
Ingresso libero
Info: www.festivalpoesia.org
Genova - Palazzo Ducale
Salone del Minor Consiglio
SECONDA EDIZIONE
Premio Internazionale
"Poesia in Bottiglia" al giornalista Michele Serra
"Sono un poeta molto timido perchého troppo rispetto per i poeti veri, preferisco scrivere versi poco e quasi sempre per gioco. Mi affascina e mi diverte in particolare il fascino delle rime e delle assonanze, la parola che suona, la parola che echeggia" così ha detto Michele Serra, giornalista, scrittore, autore televisivo, apprendendo che il Circolo Viaggiatori nel Tempo, in collaborazione con l'Associazione Produttori Bottega del Grignolino d'Asti, ha deciso di assegnargli il Premio internazionale "Poesia in bottiglia". La cerimonia di consegna della targa, e di 48 bottiglie di Grignolino d'Asti, si svolgerà a Genova mercoledì 17 giugno alle ore 18 nel salone del Minor Consiglio di Palazzo Ducale. L'evento è tra gli appuntamenti di spicco della quindicesima edizione del Festival Internazionale di Poesia, la prestigiosa manifestazione genovese dedicata a versi e rime, in programma dall'11 al 21 giugno che, di recente, ha ottenuto dal Ministero dei Beni e Attività Culturali il premio quale miglior progetto italiano di poesia. Il premio "Poesia in bottiglia" è giunto alla seconda edizione, nel 2008 il riconoscimento venne conferito allo scrittore e poeta Tonino Guerra.
Giornalista di quotidiani e settimanali italiani (L'Unità, Cuore che ha fondato e diretto, Epoca), Michele Serra è autore de "L'amaca", rubrica quotidiana de La Repubblica, e di "Satira preventiva", pubblicata sul settimanale L'Espresso. Ha firmato diversi programmi televisivi di successo (tra gli altri "C'era un ragazzo" di Gianni Morandi nel 1999 e "125 milioni di caz..te" di Adriano Celentano nel 2001); è tra gli autori di "Che tempo che fa" di Fabio Fazio. Tra le numerose pubblicazioni, tutte per Feltrinelli, anche due libri di versi satirici: Poesie per incartare l'insalata e Canzoni politiche.
"C'è un legame tra vino e poesia - spiega il direttore artistico del Festival Internazionale di Poesia, Claudio Pozzani - un legame fatto di esperienza e creatività, misura e tecnica. Con il premio non abbiamo solo voluto conferire un riconoscimento al poeta come autore di versi ma, soprattutto, all'essere umano e al suo approccio creativo e poetico alla vita e all'arte. Anche per questo, non è stato scelto un vino qualsiasi, ma un vino speciale: il Grignolino d'Asti".
E a proposito del Grignolino, Serra dice: "Lo conosco, so che è un vino umile ma sorprendente, non appartiene alla nobiltà dei Grandi Piemontesi ma almeno non mette soggezione. E' un vino da convivio, da amici, da compagnia. Così almeno lo vedo io".
Questo vino piemontese è stato definito "Vino anarchico testabalorda" dal massimo "poeta" del vino Luigi Veronelli. Non è quindi un caso se un vino giudicato così diverso dagli altri e a sé stante venga scelto per premiare una categoria molto simile: quella dei poeti.
L'ideazione e la direzione del Premio internazionale "Poesia in bottiglia" è di Claudio Pozzani, in collaborazione con Paolo Podestà, Patrizia Baldizzone, Circolo Viaggiatori nel tempo, l'Associazione Produttori Bottega del Grignolino d'Asti.
Orario: 18.30
Ingresso libero
Info: www.festivalpoesia.org
Nuovo interessante numero del “Calabrone”
COMUNICATO STAMPA
È uscito, in tempo per essere consegnato agli alunni prima della chiusura delle scuole, il terzo dell’anno scolastico 2008/2009 del “Calabrone”, il giornalino scolastico dell’Istituto Tecnico Industriale “Enrico Mattei” di Isernia, che si è fatto notare anche al di fuori dell’Istituto per la bella impostazione grafica e soprattutto per i contenuti di notevole interesse. Non è un caso che sia stato premiato per il secondo ano consecutivo nel concorso “Fare il giornale nelle scuole” indetto dell’Ordine Nazionale dei Giornalisti e dal Comune di Benevento.
In questo nuovo numero, 32 pagine, molti interessanti articoli. Citiamo qualche titolo: “L’Università: scelta di vita”, “Che cos’è un terremoto”, “La Protezione Civile”, “Tesla, il Genio che inventò il XX secolo”, “Cassino accoglie il 76° Congresso di Esperanto”, “Facebook, un social network per mille nuove riflessioni”, “Energie rinnovabili”. E poi vecchie e nuove rubriche, come “Notate le note”, “Proverbi aggiornati”, ecc.
Chi volesse avere copia del nuovo numero del “Calabrone” può chiederla a scuola. Per ricevere copia in formato pdf: edizionieva@libero.it.
Qui di seguito, riportiamo, dal “Calabrone” un’intervista di Nadia Turriziani allo scrittore Amerigo Iannacone e la rubrica “Notate le note”.
Intervista ad Amerigo Iannacone
«Scrivere è creare dal nulla»
D.: Per lei cosa significa scrivere?
R.: Potrei tentare una definizione del tipo: scrivere è realizzarsi. Ma in realtà normalmente non ci si chiede perché si scrive. Io scrivevo le mie prime poesie già quando frequentavo la scuola elementare né allora pensavo, ovviamente, che avrei pubblicato. Era, ed è, in qualche modo un’esigenza. Potrei anche dire che scrivere è creare dal nulla, cosí come ci dice l’etimologia della parola poesia, che deriva appunto da un verbo greco che significa “creare”.
D.: Quali sono i suoi libri del cuore?
R.: Ne sono molti. Uno – può sembrare banale – è la raccolta dei Canti di Leopardi. Poi metterei i Racconti di Edgar Alla Poe, Delitto e castigo di Dostoevski e molti altri classici dell’Ottocento, soprattutto i russi e i francesi. Piú vicini a noi, molti dei poeti del Novecento: in particolare Sinisgalli, Cardarelli e Quasimodo. Tra i romanzi Il Gattopardo di Tomasi di Lampedusa e Il Deserto dei Tartari di Dino Buzzati.
D.: Il libro piú bello che ha letto negli ultimi tre anni?
R.: Dovrei ripercorre un po’ le letture che ho fatto e mi è difficile ricordarle e ancor piú fare una graduatoria. Mi viene in mente un libro che mi ha colpito molto: Quattro mele annurche, un romanzo breve di Maria Rosaria Valentini, giovane scrittrice e poetessa originaria di San Biagio Saracinisco e residente in Svizzera. È un nome già abbastanza noto, ma credo che si sentirà molto in futuro negli ambienti letterari.
Tra il libri di poesia un bel libro che ho letto di recente è L’orto del poeta ciociaro Gerardo Vacana.
D.: Qual è il rapporto con la sua regione e con la sua terra?
R.: Credo che ognuno di noi paghi lo scotto, nel bene e nel male, alla propria terra. Ed è inevitabile che per uno come me, che mi sono allontanato piuttosto raramente dalla mia regione, si finisca per instaurare con essa un rapporto di amore-odio. Odio per le cose che vanno male e si vorrebbero cambiare, ma si è impotenti a farlo. L’amore non si spiega perché. Ma forse ci si affeziona alle cose che ogni giorno si vedono, le montagne, le strade, le case, gli alberi, e forse anche certe fisionomie finiscono per radicarsi nella nostra memoria.
D.: Il suo rapporto con la città?
R.: Se intende la città in cui abito, devo dire che in realtà il posto è un piccolo paese e il rapporto è lo stesso che ho con la mia minuscola regione: dovrei dire le stesse cose che ho detto per la mia terra.
Se intende invece parlare della città in generale, devo dire che non mi dispiace frequentare di tanto in tanto la città per tutto quello che può offrire, e non solo come servizi e come commercio, ma anche per la vita culturale e per gli incontri proficui che si possono fare.
Ma non credo mi piacerebbe vivere stabilmente in una grande città: troppo dispersiva, troppo confusa, troppo distratta, troppo anonima.
D.: Come è arrivato alla pubblicazione del suo lavoro?
R.: Ci sarebbe da fare un discorso molto lungo sull’editoria e sulle scelte editoriali degli editori grandi o medio-grandi, che puntano esclusivamente alla prospettive di vendita e non alla qualità.
Ma io, come Lei credo sappia, gestisco una piccola casa editrice e i libri li pubblico da me.
D’altra parte per pubblicare il mio primo libro, una raccolta di poesie intitolata Pensieri della sera, uscita nel 1980, ho semplicemente preso un manoscritto e l’ho portato in tipografia.
D.: Ha frequentato corsi di scrittura creativa?
R.: No, non li ho frequentati, ma insieme a qualche collega, in un paio di occasioni abbiamo tenuto un corso con gli alunni e i risultati sono stati incoraggianti. Alcuni ragazzi hanno cominciato a scrivere in quell’occasione e poi hanno continuato. Di un seminario fatto a Caiazzo, in provincia di Caserta, è stato pubblicato un interessante volume, La scrittura creativa, con gli interventi nostri e con gli elaborati degli studenti.
D.: Ritiene siano utili?
R.: Premetto che se non c’è il talento innato, non c’è corso di scrittura che tenga. Tuttavia direi che i corsi possono essere senz’altro utili, perché hanno una funzione maieutica. Possono cioè aiutare a prendere coscienza delle proprie capacità.
D.: Quale ritiene sia l’aspetto piú complesso della scrittura narrativa?
R.: Non parlerei di aspetti complessi, piuttosto della ricerca delle idee e della loro realizzazione in una scrittura che risulti stilisticamente accattivante.
D.: Come scrive: a penna o al computer? Di giorno o di notte? Segue “riti” particolari?
R.: Del computer, volenti o nolenti, non si può fare a meno. Quando sono a casa, scrivo – già da alcuni anni – direttamente al computer, perché è comodo: si può cancellare, riscrivere, riprendere, ecc., e poi si ha già il testo pronto per la tipografia, per il giornale o per inviarlo per posta elettronica. Comunque non disdegno la penna, soprattutto quando sono fuori casa, in viaggio o altrove. Ho sempre con me piú di una penna e spesso mi ritrovo le tasche piene di biglietti con appunti.
Niente riti, ma in genere di notte lavoro meglio, perché non ci sono distrazioni: non c’è il telefono che suona, non c’è chi bussa alla porta, non c’è la tentazione di interrompere per uscire o dedicarsi ad altro.
D.: Come è nata l’idea di scrivere il suo ultimo libro?
R.: Il mio ultimo libro, Il Paese a rovescio e altre fiabe, è nato come un divertissement, o meglio, come dei divertissement, visto che i testi sono stati scritti nel corso di diversi anni e solo ora raccolti in volume. È stato comunque preso sul serio e apprezzato dai critici, non solo, o non tanto, per la vena umoristica, ma anche per l’ironia, per la garbata satira e per un intento didascalico che si può spesso trovare fra le righe e che non appesantisce. Forse non è bello che parli io in questi termini del mio libro, ma in realtà sto riportando il senso di alcuni interventi di critici e di lettori.
D.: Preferisce cimentarsi col racconto o nelle poesie?
R.: “Preferire” forse non è il verbo giusto. Dipende dai momenti. Diciamo che alterno. Comunque la scrittura poetica, indipendentemente dal valore che la mia poesia può avere, mi gratifica di piú. Dopo avere scritto una poesia mi sento come appagato e sereno. Devo dire però che una mia lettrice ebbe a dire una volta che i miei racconti sono come delle “poesie espanse” (si riferiva al mio libro Microracconti del 1991), cosa che mi fece piacere, e che mi fece pensare. E in realtà non c’è una cesura netta tra i racconti e le poesie, come invece ci potrebbe essere tra una poesia e un articolo di cronaca (perché io ho fatto anche il cronista).
D.: Ci dà una definizione dell’uno e dell’altro?
R.: Questo è davvero difficile. Se prova a leggere la definizione della parola “poesia” in dieci diversi vocabolari, troverà dieci definizioni diverse, a volte tra loro contraddittorie, e si accorgerà che nessuna la soddisferà. Vogliamo provare a dire quello che la poesia non è? Non è un passatempo della domenica, non è un gioco solipsistico, non è uno svago fine a sé stesso, non è un hobby. La poesia è nella natura stessa del poeta. E c’è poesia quando il lettore, leggendo un testo, vi trova un po’ di sé.
Il racconto è una narrazione che abbia un contenuto valido e che sia stilisticamente piacevole.
D.: Come ha scelto il titolo del suo libro piú recente?
R.: È il titolo di una fiaba poi esteso a tutto il libro. Ma il titolo è Il Paese a rovescio, perché nei racconti c’è spesso un rovesciamento della realtà o comunque della visione della realtà, quasi sempre sul filo dell’ironia e anche dell’autoironia.
D.: Ha altri progetti in cantiere?
R.: Sí, ci sono parecchie cose in cantiere, anche se purtroppo, nella frenetica vita che viviamo e che quotidianamente ci costringe a fare cose di cui faremmo volentieri a meno (la coda all’ufficio postale, la seduta dal dentista, le incombenze familiari...) e ci costringe ad essere in posti dove eviteremmo di andare, non sempre si riesce a trovare il tempo e la serenità per dedicarsi alla scrittura.
Tra i lavori che ho avviati, una rassegna dei poeti della mia provincia, un dizionario dei personaggi illustri di Venafro di tutti i tempi, un’antologia della poesia esperanto con traduzione italiana. Cosa che attualmente non c’è: chi non conosce la lingua non ha modo di avvicinarsi alla la produzione poetica in esperanto che pure è rilevante. Ed ho anche diverse altre cose avviate o in programma, che conto di realizzare se avrò vita e forza.
Nadia Turriziani
È uscito, in tempo per essere consegnato agli alunni prima della chiusura delle scuole, il terzo dell’anno scolastico 2008/2009 del “Calabrone”, il giornalino scolastico dell’Istituto Tecnico Industriale “Enrico Mattei” di Isernia, che si è fatto notare anche al di fuori dell’Istituto per la bella impostazione grafica e soprattutto per i contenuti di notevole interesse. Non è un caso che sia stato premiato per il secondo ano consecutivo nel concorso “Fare il giornale nelle scuole” indetto dell’Ordine Nazionale dei Giornalisti e dal Comune di Benevento.
In questo nuovo numero, 32 pagine, molti interessanti articoli. Citiamo qualche titolo: “L’Università: scelta di vita”, “Che cos’è un terremoto”, “La Protezione Civile”, “Tesla, il Genio che inventò il XX secolo”, “Cassino accoglie il 76° Congresso di Esperanto”, “Facebook, un social network per mille nuove riflessioni”, “Energie rinnovabili”. E poi vecchie e nuove rubriche, come “Notate le note”, “Proverbi aggiornati”, ecc.
Chi volesse avere copia del nuovo numero del “Calabrone” può chiederla a scuola. Per ricevere copia in formato pdf: edizionieva@libero.it.
Qui di seguito, riportiamo, dal “Calabrone” un’intervista di Nadia Turriziani allo scrittore Amerigo Iannacone e la rubrica “Notate le note”.
Intervista ad Amerigo Iannacone
«Scrivere è creare dal nulla»
D.: Per lei cosa significa scrivere?
R.: Potrei tentare una definizione del tipo: scrivere è realizzarsi. Ma in realtà normalmente non ci si chiede perché si scrive. Io scrivevo le mie prime poesie già quando frequentavo la scuola elementare né allora pensavo, ovviamente, che avrei pubblicato. Era, ed è, in qualche modo un’esigenza. Potrei anche dire che scrivere è creare dal nulla, cosí come ci dice l’etimologia della parola poesia, che deriva appunto da un verbo greco che significa “creare”.
D.: Quali sono i suoi libri del cuore?
R.: Ne sono molti. Uno – può sembrare banale – è la raccolta dei Canti di Leopardi. Poi metterei i Racconti di Edgar Alla Poe, Delitto e castigo di Dostoevski e molti altri classici dell’Ottocento, soprattutto i russi e i francesi. Piú vicini a noi, molti dei poeti del Novecento: in particolare Sinisgalli, Cardarelli e Quasimodo. Tra i romanzi Il Gattopardo di Tomasi di Lampedusa e Il Deserto dei Tartari di Dino Buzzati.
D.: Il libro piú bello che ha letto negli ultimi tre anni?
R.: Dovrei ripercorre un po’ le letture che ho fatto e mi è difficile ricordarle e ancor piú fare una graduatoria. Mi viene in mente un libro che mi ha colpito molto: Quattro mele annurche, un romanzo breve di Maria Rosaria Valentini, giovane scrittrice e poetessa originaria di San Biagio Saracinisco e residente in Svizzera. È un nome già abbastanza noto, ma credo che si sentirà molto in futuro negli ambienti letterari.
Tra il libri di poesia un bel libro che ho letto di recente è L’orto del poeta ciociaro Gerardo Vacana.
D.: Qual è il rapporto con la sua regione e con la sua terra?
R.: Credo che ognuno di noi paghi lo scotto, nel bene e nel male, alla propria terra. Ed è inevitabile che per uno come me, che mi sono allontanato piuttosto raramente dalla mia regione, si finisca per instaurare con essa un rapporto di amore-odio. Odio per le cose che vanno male e si vorrebbero cambiare, ma si è impotenti a farlo. L’amore non si spiega perché. Ma forse ci si affeziona alle cose che ogni giorno si vedono, le montagne, le strade, le case, gli alberi, e forse anche certe fisionomie finiscono per radicarsi nella nostra memoria.
D.: Il suo rapporto con la città?
R.: Se intende la città in cui abito, devo dire che in realtà il posto è un piccolo paese e il rapporto è lo stesso che ho con la mia minuscola regione: dovrei dire le stesse cose che ho detto per la mia terra.
Se intende invece parlare della città in generale, devo dire che non mi dispiace frequentare di tanto in tanto la città per tutto quello che può offrire, e non solo come servizi e come commercio, ma anche per la vita culturale e per gli incontri proficui che si possono fare.
Ma non credo mi piacerebbe vivere stabilmente in una grande città: troppo dispersiva, troppo confusa, troppo distratta, troppo anonima.
D.: Come è arrivato alla pubblicazione del suo lavoro?
R.: Ci sarebbe da fare un discorso molto lungo sull’editoria e sulle scelte editoriali degli editori grandi o medio-grandi, che puntano esclusivamente alla prospettive di vendita e non alla qualità.
Ma io, come Lei credo sappia, gestisco una piccola casa editrice e i libri li pubblico da me.
D’altra parte per pubblicare il mio primo libro, una raccolta di poesie intitolata Pensieri della sera, uscita nel 1980, ho semplicemente preso un manoscritto e l’ho portato in tipografia.
D.: Ha frequentato corsi di scrittura creativa?
R.: No, non li ho frequentati, ma insieme a qualche collega, in un paio di occasioni abbiamo tenuto un corso con gli alunni e i risultati sono stati incoraggianti. Alcuni ragazzi hanno cominciato a scrivere in quell’occasione e poi hanno continuato. Di un seminario fatto a Caiazzo, in provincia di Caserta, è stato pubblicato un interessante volume, La scrittura creativa, con gli interventi nostri e con gli elaborati degli studenti.
D.: Ritiene siano utili?
R.: Premetto che se non c’è il talento innato, non c’è corso di scrittura che tenga. Tuttavia direi che i corsi possono essere senz’altro utili, perché hanno una funzione maieutica. Possono cioè aiutare a prendere coscienza delle proprie capacità.
D.: Quale ritiene sia l’aspetto piú complesso della scrittura narrativa?
R.: Non parlerei di aspetti complessi, piuttosto della ricerca delle idee e della loro realizzazione in una scrittura che risulti stilisticamente accattivante.
D.: Come scrive: a penna o al computer? Di giorno o di notte? Segue “riti” particolari?
R.: Del computer, volenti o nolenti, non si può fare a meno. Quando sono a casa, scrivo – già da alcuni anni – direttamente al computer, perché è comodo: si può cancellare, riscrivere, riprendere, ecc., e poi si ha già il testo pronto per la tipografia, per il giornale o per inviarlo per posta elettronica. Comunque non disdegno la penna, soprattutto quando sono fuori casa, in viaggio o altrove. Ho sempre con me piú di una penna e spesso mi ritrovo le tasche piene di biglietti con appunti.
Niente riti, ma in genere di notte lavoro meglio, perché non ci sono distrazioni: non c’è il telefono che suona, non c’è chi bussa alla porta, non c’è la tentazione di interrompere per uscire o dedicarsi ad altro.
D.: Come è nata l’idea di scrivere il suo ultimo libro?
R.: Il mio ultimo libro, Il Paese a rovescio e altre fiabe, è nato come un divertissement, o meglio, come dei divertissement, visto che i testi sono stati scritti nel corso di diversi anni e solo ora raccolti in volume. È stato comunque preso sul serio e apprezzato dai critici, non solo, o non tanto, per la vena umoristica, ma anche per l’ironia, per la garbata satira e per un intento didascalico che si può spesso trovare fra le righe e che non appesantisce. Forse non è bello che parli io in questi termini del mio libro, ma in realtà sto riportando il senso di alcuni interventi di critici e di lettori.
D.: Preferisce cimentarsi col racconto o nelle poesie?
R.: “Preferire” forse non è il verbo giusto. Dipende dai momenti. Diciamo che alterno. Comunque la scrittura poetica, indipendentemente dal valore che la mia poesia può avere, mi gratifica di piú. Dopo avere scritto una poesia mi sento come appagato e sereno. Devo dire però che una mia lettrice ebbe a dire una volta che i miei racconti sono come delle “poesie espanse” (si riferiva al mio libro Microracconti del 1991), cosa che mi fece piacere, e che mi fece pensare. E in realtà non c’è una cesura netta tra i racconti e le poesie, come invece ci potrebbe essere tra una poesia e un articolo di cronaca (perché io ho fatto anche il cronista).
D.: Ci dà una definizione dell’uno e dell’altro?
R.: Questo è davvero difficile. Se prova a leggere la definizione della parola “poesia” in dieci diversi vocabolari, troverà dieci definizioni diverse, a volte tra loro contraddittorie, e si accorgerà che nessuna la soddisferà. Vogliamo provare a dire quello che la poesia non è? Non è un passatempo della domenica, non è un gioco solipsistico, non è uno svago fine a sé stesso, non è un hobby. La poesia è nella natura stessa del poeta. E c’è poesia quando il lettore, leggendo un testo, vi trova un po’ di sé.
Il racconto è una narrazione che abbia un contenuto valido e che sia stilisticamente piacevole.
D.: Come ha scelto il titolo del suo libro piú recente?
R.: È il titolo di una fiaba poi esteso a tutto il libro. Ma il titolo è Il Paese a rovescio, perché nei racconti c’è spesso un rovesciamento della realtà o comunque della visione della realtà, quasi sempre sul filo dell’ironia e anche dell’autoironia.
D.: Ha altri progetti in cantiere?
R.: Sí, ci sono parecchie cose in cantiere, anche se purtroppo, nella frenetica vita che viviamo e che quotidianamente ci costringe a fare cose di cui faremmo volentieri a meno (la coda all’ufficio postale, la seduta dal dentista, le incombenze familiari...) e ci costringe ad essere in posti dove eviteremmo di andare, non sempre si riesce a trovare il tempo e la serenità per dedicarsi alla scrittura.
Tra i lavori che ho avviati, una rassegna dei poeti della mia provincia, un dizionario dei personaggi illustri di Venafro di tutti i tempi, un’antologia della poesia esperanto con traduzione italiana. Cosa che attualmente non c’è: chi non conosce la lingua non ha modo di avvicinarsi alla la produzione poetica in esperanto che pure è rilevante. Ed ho anche diverse altre cose avviate o in programma, che conto di realizzare se avrò vita e forza.
Nadia Turriziani
Ivan della Mea
venerdì 12 giugno 2009
Musical-Poetic-Photo-Art Exhibition "Doel… yes YOU CAN!"
20-21 June: Musical-Poetic-Photo-Art Exhibition "Doel… yes YOU CAN!" in the Historic Hooghuis
· Exhibition of the photographic work of Richard De Nul in the 17th century Hooghuis. Richard is the photographer who meticulously documented all the houses, people and life in Doel for the past six months. For this occasion, the upper floor of the precious Hooghuis will exceptionally be opened to the public (see Richard's archive on www.denul.net/doel).
· Two poets, Dirk De Boeck and Paul Vincent, wrote poems accompanying Richard's Doel images. The poets will also read their poems during exhibition hours.
· This same weekend, cellist Dirk Strybol will try to break the world record violoncello playing in the Hooghuis. He will start playing Friday evening (19 June) at 21 hrs and go on until Monday morning! On Saturday and Sunday, various other musicians and dancers will come to support him and liven up his performance.
· At the ground floor: permanent exhibition of the work of local artist Denise Aerts: paintings, sculptures, ceramics….
Richard will open his exhibit at 10 hrs on Saturday, 21 June. Opening hours from 10 to 18 hrs on Saturday and Sunday.
Free entrance
· Exhibition of the photographic work of Richard De Nul in the 17th century Hooghuis. Richard is the photographer who meticulously documented all the houses, people and life in Doel for the past six months. For this occasion, the upper floor of the precious Hooghuis will exceptionally be opened to the public (see Richard's archive on www.denul.net/doel).
· Two poets, Dirk De Boeck and Paul Vincent, wrote poems accompanying Richard's Doel images. The poets will also read their poems during exhibition hours.
· This same weekend, cellist Dirk Strybol will try to break the world record violoncello playing in the Hooghuis. He will start playing Friday evening (19 June) at 21 hrs and go on until Monday morning! On Saturday and Sunday, various other musicians and dancers will come to support him and liven up his performance.
· At the ground floor: permanent exhibition of the work of local artist Denise Aerts: paintings, sculptures, ceramics….
Richard will open his exhibit at 10 hrs on Saturday, 21 June. Opening hours from 10 to 18 hrs on Saturday and Sunday.
Free entrance
PIANETA POESIA 2008/2009 - POESIA PERFORMATIVA E MULTIMEDIALE
Martedì 16 giugno 2009 alle ore 19.00
presso il Palagio di Parte Guelfa - Piazzetta di Parte Guelfa - Firenze
Incontro con ALESSANDRA BORSETTI VENIER
Negli anni 80: schegge di un percorso interdisciplinare. Fondazione di Morgana Edizioni e collaborazioni artistiche.
Con un brindisi inconsueto degli amici presenti agli amici assenti:
Liliana Ugolini a Gianni Marrani - Luca De Silva a Caterina Bueno - Maria Pia Moschini a Eugenio Miccini - Paola Bortolotti a Mario Mariotti - Massimo Mori a Lanfranco Baldi - Lorenzo Pezzatini a Lanfraco Baldi - Roberto Innocenti a Carlo Fabre - Mario Lovergine a Mario Pachi - Stefano Lanuzza a Ferruccio Masini - Tommasella Calvisi a Franco Di Francescantonio - Kiki Franceschi a Luciano Caruso - Gabriella Fiori a Helle Busacca - Marilena Mosco a Manbert - Vittorio Tolu a Fiamma Vigo - Giampaolo Di Cocco e David Palterer a Vera Biondi - Andrea Granchi a Lorenzo Bonechi - Massimo Agus a Barbara Nativi - Mariella Bettarini a Roberto Voller
Alessandra Borsetti Venier è nata a Sacile, nel Friuli, ma vive a Firenze da oltre trent’anni. Artista multimediale si è occupata, dalla fine degli anni Sessanta, di teatro e performance. Negli anni Settanta ha presentato le sue opere (scultura, fotografia, performance) in gallerie e spazi pubblici sia in Italia che all’estero. Dal 1977 ha prodotto con il compagno e artista Carlo Fabre, numerose mostre ed eventi fino al 1995, anno della scomparsa del grande fotografo.
Nel 1985 ha fondato la casa editrice Morgana Edizioni divenendo così artista-editore, e continuando a fare arte in forma di libro. Nel 1992 ha aperto a Pontassieve (Fi) “La Barbagianna: una Casa per l’Arte Contemporanea” dove, ogni anno, cura la Rassegna “Incontri Multimediali” che comprende mostre, installazioni, spettacoli, con la presentazione di editori e autori, e di edizioni di libri d’artista. Le sue pubblicazioni sono conosciute per l’alta qualità e l’originalità della veste grafica. Le numerose collane spaziano dall’arte antica all’architettura, dal cinema alla didattica, dalla storia alla natura, dal teatro alla poesia e, in particolare, le serie di libri d’artista si trovano in collezioni importanti e musei internazionali.
Info: 055 2616029 - 055 6811728 info@morganaedizioni.it - www.morganaedizioni.it
giovedì 11 giugno 2009
Exposition Manuscrits d'oiseaux
du 19 juin au 5 septembre 2009
Vernissage Vendredi 19 juin 2009 à 18h30 :
Lecture de textes poétiques de Saint-John Perse et de Suzanne Aurbach par Olivier Braux et Suzanne Aurbach
Fondation Saint-John Perse, Cité du Livre, Aix-en-Provence
du mardi au samedi 14h 18h.
Invitation et informations complémentaires sur le site de la Fondation Saint-John Perse: http://www.fondationsaintjohnperse.fr/html/2009_06_19_Coco_Texedre.htm
Dai racconti dell’alba di Antonietta Gnerre
Dai racconti dell’alba di Antonietta Gnerre
Ogni destino è una storia di vite che si scontrano dove lo spazio s’incrocia col tempo.
Lungo il tempo le lampadine delle aspettative, mutano forma. Questo è il destino di ogni persona divorata dal tarlo delle ingiustizie e delle raccomandazioni. Marisa camminava con i suoi pensieri stretti nella borsa della speranza quel giorno, per fuggire dal suo paese. I sogni erano distanti, racchiusi in lunghe code noiose e snervanti. L’hotel dei posti di lavoro, ospitava tutti i passeggeri di questa terra, anche quelli con il piumaggio rossiccio, che assomigliano sempre di più a strani indiani. Senza possibilità di usufruire di questo lusso, del posto di lavoro, la coscienza di questa esile donna proseguì voltando le spella all’ipocrisia, per inseguire un viaggio monitorato da una patologia progressiva che aumentava di ora in ora. La strada era buia e tortuosa e i piedi le sembrarono un’unica cosa con gli infradito colorati dai brillantini; un blocco di roccia deformato da un dolore atroce indovinato dalla breccia che cresceva intorno a i suoi piedi. Da lontano con le prime luci dell’alba, arrivò in un posto inesistente. Sentì solo il suono di un violino, e la voce di due donne che la circondarono con note incrociate. Questo piccolo viaggio, fatto di illusioni e sbadigli suscitò molti dubbi. Le due donne sembravano uscite dalla tela di un quadro degli anni trenta, distrutte dalle fatiche dei campi. Le case in questo viaggio della mente apparivano strettissime e quadrate, tappezzate da tanti volti che sembravano incubi. Le case erano accarezzate a mezzogiorno dalla luce del sole e dal suono delle campane. Tutti i ricordi sbucarono dai tetti modellati da colline pettinate di verde. Marisa era in viaggio per cambiare se stessa. E queste due donne apparivano davanti a i suoi occhi come figure complesse e distanti. Vestivano una sorta di abiti stracciati e disordinati con i capelli neri e lunghi, raccolti a coda dietro la nuca. Nessuna di loro parlò con la giovane donna guardarono insieme intensamente, senza respirare e senza muoversi, la cerniera della lunga coda di grano, che scorreva dai cambiamenti imminenti del paesaggio. La sera si aprì improvvisamente e sfilò di nuovo con le sue lampadine fulminate e rotte. Due passi avanti, uno indietro; il corpo, quello di Marisa, con le braccia aperte crollò in un sonno lunghissimo come la morte. Vibrò solo il suo olfatto offeso dai rifiuti. I rifiuti che fissarono quel corpo nei ripostigli arrotolati del tempo. E si guardò come spiga dall’alto, impastata sulla terra succhiata dalla vergogna. Il ritmo lento e continuo della voce di quelle due donne moltiplicò le sue speranze senza intaccarle. Queste due donne con umiltà e coraggio la ricondussero sulla strada delle lancette. Marisa doveva ritornare di nuovo nel tempo. E come nell’infanzia tutto le sembrò possibile e più accettabile per schizzare di nuovo tra la gente e senza rimpianti. Il rigido vetro della paura, spuntò di nuovo come la gramigna. La realtà era ancora impregnata di rinunce e di privilegiate ombre che si trasformano di continuo. Il sole quel giorno le sembrò diverso. Per ritornare all’ordine meraviglioso e per sviare il passo lento delle file delle attese, Marisa doveva riparare tutte le lampadine: una ad una con pazienza e coraggio. E doveva riparare tutte le aspettative della gente che sembravano rapite dalle civette che facevano la fila davanti alle urne bianche del potere. Il sogno senza sogno strisciò di nuovo, sulle pagine delle vertebre e nel bozzolo fermo delle attese, sotto il metallo liquido del cielo. Marisa guardò quella lunga via fatta di foschia e di teli in detrito, dove il respiro prendeva forma per mutare in qualcosa. La porta del cielo non si era ancora spalancata per lei. Le gioie i tormenti i sussulti le sembrarono lontanissimi. E quel crescere della parola aumentò ancora per comprendere lo spettacolo meraviglioso dell’ancora. Il pensiero e la realtà non si scontrarono più nell’incendio della sensibilità. Marisa doveva lottare contro l’ingiustizia, doveva solo attraversare i suoi giorni, per trascrivere sulla superfici della carta, la vibrazione della luce racchiusa nella libertà di pensare.
Dai racconti dell’alba di Antonietta Gnerre
Ogni destino è una storia di vite che si scontrano dove lo spazio s’incrocia col tempo.
Lungo il tempo le lampadine delle aspettative, mutano forma. Questo è il destino di ogni persona divorata dal tarlo delle ingiustizie e delle raccomandazioni. Marisa camminava con i suoi pensieri stretti nella borsa della speranza quel giorno, per fuggire dal suo paese. I sogni erano distanti, racchiusi in lunghe code noiose e snervanti. L’hotel dei posti di lavoro, ospitava tutti i passeggeri di questa terra, anche quelli con il piumaggio rossiccio, che assomigliano sempre di più a strani indiani. Senza possibilità di usufruire di questo lusso, del posto di lavoro, la coscienza di questa esile donna proseguì voltando le spella all’ipocrisia, per inseguire un viaggio monitorato da una patologia progressiva che aumentava di ora in ora. La strada era buia e tortuosa e i piedi le sembrarono un’unica cosa con gli infradito colorati dai brillantini; un blocco di roccia deformato da un dolore atroce indovinato dalla breccia che cresceva intorno a i suoi piedi. Da lontano con le prime luci dell’alba, arrivò in un posto inesistente. Sentì solo il suono di un violino, e la voce di due donne che la circondarono con note incrociate. Questo piccolo viaggio, fatto di illusioni e sbadigli suscitò molti dubbi. Le due donne sembravano uscite dalla tela di un quadro degli anni trenta, distrutte dalle fatiche dei campi. Le case in questo viaggio della mente apparivano strettissime e quadrate, tappezzate da tanti volti che sembravano incubi. Le case erano accarezzate a mezzogiorno dalla luce del sole e dal suono delle campane. Tutti i ricordi sbucarono dai tetti modellati da colline pettinate di verde. Marisa era in viaggio per cambiare se stessa. E queste due donne apparivano davanti a i suoi occhi come figure complesse e distanti. Vestivano una sorta di abiti stracciati e disordinati con i capelli neri e lunghi, raccolti a coda dietro la nuca. Nessuna di loro parlò con la giovane donna guardarono insieme intensamente, senza respirare e senza muoversi, la cerniera della lunga coda di grano, che scorreva dai cambiamenti imminenti del paesaggio. La sera si aprì improvvisamente e sfilò di nuovo con le sue lampadine fulminate e rotte. Due passi avanti, uno indietro; il corpo, quello di Marisa, con le braccia aperte crollò in un sonno lunghissimo come la morte. Vibrò solo il suo olfatto offeso dai rifiuti. I rifiuti che fissarono quel corpo nei ripostigli arrotolati del tempo. E si guardò come spiga dall’alto, impastata sulla terra succhiata dalla vergogna. Il ritmo lento e continuo della voce di quelle due donne moltiplicò le sue speranze senza intaccarle. Queste due donne con umiltà e coraggio la ricondussero sulla strada delle lancette. Marisa doveva ritornare di nuovo nel tempo. E come nell’infanzia tutto le sembrò possibile e più accettabile per schizzare di nuovo tra la gente e senza rimpianti. Il rigido vetro della paura, spuntò di nuovo come la gramigna. La realtà era ancora impregnata di rinunce e di privilegiate ombre che si trasformano di continuo. Il sole quel giorno le sembrò diverso. Per ritornare all’ordine meraviglioso e per sviare il passo lento delle file delle attese, Marisa doveva riparare tutte le lampadine: una ad una con pazienza e coraggio. E doveva riparare tutte le aspettative della gente che sembravano rapite dalle civette che facevano la fila davanti alle urne bianche del potere. Il sogno senza sogno strisciò di nuovo, sulle pagine delle vertebre e nel bozzolo fermo delle attese, sotto il metallo liquido del cielo. Marisa guardò quella lunga via fatta di foschia e di teli in detrito, dove il respiro prendeva forma per mutare in qualcosa. La porta del cielo non si era ancora spalancata per lei. Le gioie i tormenti i sussulti le sembrarono lontanissimi. E quel crescere della parola aumentò ancora per comprendere lo spettacolo meraviglioso dell’ancora. Il pensiero e la realtà non si scontrarono più nell’incendio della sensibilità. Marisa doveva lottare contro l’ingiustizia, doveva solo attraversare i suoi giorni, per trascrivere sulla superfici della carta, la vibrazione della luce racchiusa nella libertà di pensare.
sul blog narrabilando di Alex Ramberti
Ogni destino è una storia di vite che si scontrano dove lo spazio s’incrocia col tempo.
Lungo il tempo le lampadine delle aspettative, mutano forma. Questo è il destino di ogni persona divorata dal tarlo delle ingiustizie e delle raccomandazioni. Marisa camminava con i suoi pensieri stretti nella borsa della speranza quel giorno, per fuggire dal suo paese. I sogni erano distanti, racchiusi in lunghe code noiose e snervanti. L’hotel dei posti di lavoro, ospitava tutti i passeggeri di questa terra, anche quelli con il piumaggio rossiccio, che assomigliano sempre di più a strani indiani. Senza possibilità di usufruire di questo lusso, del posto di lavoro, la coscienza di questa esile donna proseguì voltando le spella all’ipocrisia, per inseguire un viaggio monitorato da una patologia progressiva che aumentava di ora in ora. La strada era buia e tortuosa e i piedi le sembrarono un’unica cosa con gli infradito colorati dai brillantini; un blocco di roccia deformato da un dolore atroce indovinato dalla breccia che cresceva intorno a i suoi piedi. Da lontano con le prime luci dell’alba, arrivò in un posto inesistente. Sentì solo il suono di un violino, e la voce di due donne che la circondarono con note incrociate. Questo piccolo viaggio, fatto di illusioni e sbadigli suscitò molti dubbi. Le due donne sembravano uscite dalla tela di un quadro degli anni trenta, distrutte dalle fatiche dei campi. Le case in questo viaggio della mente apparivano strettissime e quadrate, tappezzate da tanti volti che sembravano incubi. Le case erano accarezzate a mezzogiorno dalla luce del sole e dal suono delle campane. Tutti i ricordi sbucarono dai tetti modellati da colline pettinate di verde. Marisa era in viaggio per cambiare se stessa. E queste due donne apparivano davanti a i suoi occhi come figure complesse e distanti. Vestivano una sorta di abiti stracciati e disordinati con i capelli neri e lunghi, raccolti a coda dietro la nuca. Nessuna di loro parlò con la giovane donna guardarono insieme intensamente, senza respirare e senza muoversi, la cerniera della lunga coda di grano, che scorreva dai cambiamenti imminenti del paesaggio. La sera si aprì improvvisamente e sfilò di nuovo con le sue lampadine fulminate e rotte. Due passi avanti, uno indietro; il corpo, quello di Marisa, con le braccia aperte crollò in un sonno lunghissimo come la morte. Vibrò solo il suo olfatto offeso dai rifiuti. I rifiuti che fissarono quel corpo nei ripostigli arrotolati del tempo. E si guardò come spiga dall’alto, impastata sulla terra succhiata dalla vergogna. Il ritmo lento e continuo della voce di quelle due donne moltiplicò le sue speranze senza intaccarle. Queste due donne con umiltà e coraggio la ricondussero sulla strada delle lancette. Marisa doveva ritornare di nuovo nel tempo. E come nell’infanzia tutto le sembrò possibile e più accettabile per schizzare di nuovo tra la gente e senza rimpianti. Il rigido vetro della paura, spuntò di nuovo come la gramigna. La realtà era ancora impregnata di rinunce e di privilegiate ombre che si trasformano di continuo. Il sole quel giorno le sembrò diverso. Per ritornare all’ordine meraviglioso e per sviare il passo lento delle file delle attese, Marisa doveva riparare tutte le lampadine: una ad una con pazienza e coraggio. E doveva riparare tutte le aspettative della gente che sembravano rapite dalle civette che facevano la fila davanti alle urne bianche del potere. Il sogno senza sogno strisciò di nuovo, sulle pagine delle vertebre e nel bozzolo fermo delle attese, sotto il metallo liquido del cielo. Marisa guardò quella lunga via fatta di foschia e di teli in detrito, dove il respiro prendeva forma per mutare in qualcosa. La porta del cielo non si era ancora spalancata per lei. Le gioie i tormenti i sussulti le sembrarono lontanissimi. E quel crescere della parola aumentò ancora per comprendere lo spettacolo meraviglioso dell’ancora. Il pensiero e la realtà non si scontrarono più nell’incendio della sensibilità. Marisa doveva lottare contro l’ingiustizia, doveva solo attraversare i suoi giorni, per trascrivere sulla superfici della carta, la vibrazione della luce racchiusa nella libertà di pensare.
Dai racconti dell’alba di Antonietta Gnerre
Ogni destino è una storia di vite che si scontrano dove lo spazio s’incrocia col tempo.
Lungo il tempo le lampadine delle aspettative, mutano forma. Questo è il destino di ogni persona divorata dal tarlo delle ingiustizie e delle raccomandazioni. Marisa camminava con i suoi pensieri stretti nella borsa della speranza quel giorno, per fuggire dal suo paese. I sogni erano distanti, racchiusi in lunghe code noiose e snervanti. L’hotel dei posti di lavoro, ospitava tutti i passeggeri di questa terra, anche quelli con il piumaggio rossiccio, che assomigliano sempre di più a strani indiani. Senza possibilità di usufruire di questo lusso, del posto di lavoro, la coscienza di questa esile donna proseguì voltando le spella all’ipocrisia, per inseguire un viaggio monitorato da una patologia progressiva che aumentava di ora in ora. La strada era buia e tortuosa e i piedi le sembrarono un’unica cosa con gli infradito colorati dai brillantini; un blocco di roccia deformato da un dolore atroce indovinato dalla breccia che cresceva intorno a i suoi piedi. Da lontano con le prime luci dell’alba, arrivò in un posto inesistente. Sentì solo il suono di un violino, e la voce di due donne che la circondarono con note incrociate. Questo piccolo viaggio, fatto di illusioni e sbadigli suscitò molti dubbi. Le due donne sembravano uscite dalla tela di un quadro degli anni trenta, distrutte dalle fatiche dei campi. Le case in questo viaggio della mente apparivano strettissime e quadrate, tappezzate da tanti volti che sembravano incubi. Le case erano accarezzate a mezzogiorno dalla luce del sole e dal suono delle campane. Tutti i ricordi sbucarono dai tetti modellati da colline pettinate di verde. Marisa era in viaggio per cambiare se stessa. E queste due donne apparivano davanti a i suoi occhi come figure complesse e distanti. Vestivano una sorta di abiti stracciati e disordinati con i capelli neri e lunghi, raccolti a coda dietro la nuca. Nessuna di loro parlò con la giovane donna guardarono insieme intensamente, senza respirare e senza muoversi, la cerniera della lunga coda di grano, che scorreva dai cambiamenti imminenti del paesaggio. La sera si aprì improvvisamente e sfilò di nuovo con le sue lampadine fulminate e rotte. Due passi avanti, uno indietro; il corpo, quello di Marisa, con le braccia aperte crollò in un sonno lunghissimo come la morte. Vibrò solo il suo olfatto offeso dai rifiuti. I rifiuti che fissarono quel corpo nei ripostigli arrotolati del tempo. E si guardò come spiga dall’alto, impastata sulla terra succhiata dalla vergogna. Il ritmo lento e continuo della voce di quelle due donne moltiplicò le sue speranze senza intaccarle. Queste due donne con umiltà e coraggio la ricondussero sulla strada delle lancette. Marisa doveva ritornare di nuovo nel tempo. E come nell’infanzia tutto le sembrò possibile e più accettabile per schizzare di nuovo tra la gente e senza rimpianti. Il rigido vetro della paura, spuntò di nuovo come la gramigna. La realtà era ancora impregnata di rinunce e di privilegiate ombre che si trasformano di continuo. Il sole quel giorno le sembrò diverso. Per ritornare all’ordine meraviglioso e per sviare il passo lento delle file delle attese, Marisa doveva riparare tutte le lampadine: una ad una con pazienza e coraggio. E doveva riparare tutte le aspettative della gente che sembravano rapite dalle civette che facevano la fila davanti alle urne bianche del potere. Il sogno senza sogno strisciò di nuovo, sulle pagine delle vertebre e nel bozzolo fermo delle attese, sotto il metallo liquido del cielo. Marisa guardò quella lunga via fatta di foschia e di teli in detrito, dove il respiro prendeva forma per mutare in qualcosa. La porta del cielo non si era ancora spalancata per lei. Le gioie i tormenti i sussulti le sembrarono lontanissimi. E quel crescere della parola aumentò ancora per comprendere lo spettacolo meraviglioso dell’ancora. Il pensiero e la realtà non si scontrarono più nell’incendio della sensibilità. Marisa doveva lottare contro l’ingiustizia, doveva solo attraversare i suoi giorni, per trascrivere sulla superfici della carta, la vibrazione della luce racchiusa nella libertà di pensare.
sul blog narrabilando di Alex Ramberti
SEMAINE DE LA REVUE, DE LA NOUVELLE ET DE LA POESIE
.......... à La Lucarne des Ecrivains, semaine que l'on vous passera en
revue et dont vous me direz des nouvelles... en venant vous
recueillir devant l'estrade de la librairie où officieront
les invités de ces quatre rencontres consécutives !
JEUDI 11 JUIN à 19H30 "LA DISCORDE DES TEMPS",
lecture/rencontre avec le poète Matthias VINCENOT, présentée
par la poétesse syrienne Maram AL-MASRI.
Dans le cadre mensuel de ses rencontres, après le
poète/éditeur Francis COMBES (Le Temps des Cerises) et le
philosophe/poète Jean-Pierre FAYE, la ravissante Maram
AL-MASRI nous présente une de ses dernières trouvaille, le
poète au grand coeur Matthias VINCENOT, accompagné par Eric
GUILLETON qui chantera quelques poèmes qu’il a mis en musique.
A 28 ans, Matthias VINCENOT publie déjà, avec "La
Discordance des temps" (Le temps des cerises), son huitième
recueil de poèmes (après "la vie, le vent" (Lanore) et
figure dans de nombreuses anthologies comme "La Poésie est
dans la rue" ou "L'Année poétique" (chez Seghers). On y
trouve une poésie de l'air du temps et du temps d'aimer :
"A courir des chimères dans des lieux provisoires
On oublie son histoire, parfois même
On y croit
Et c'est souvent pareil, mais on ne s'avoue pas
Que le hasard déforme ce que la nuit fait taire
C'est le second regard, celui qui comprendra"
VENDREDI 12 JUIN à 19h30, SOIREE ART ET NOUVELLES avec les
éditions du Chemin de fer en compagnie des éditeurs François
GROSSO et Renaud BUENERD, les auteurs Pascal GIBOURG et
Nathalie Constans, l'artiste Mélanie DELATTRE-VOGT.
Depuis la création de cette petite maison d'éditions, leurs
trois fondateurs n'ont eu de cesse de défendre LA nouvelle
et LA création. Publiant de jolis objets contenant une et
une seule nouvelle, accompagnée tout du long par un artiste
revisitant à sa manière le texte édité, chaque livre explore
ce genre littéraire à travers des écrivains souvent
reconnus, au regard d'artistes contemporains à découvrir.
Initiée par des inédits d'Henry BAUCHAU et Violette LEDUC,
cette collection s'est élargie petit à petit à des auteurs
moins connus et, récemment vers des nouvellistes
commençants. On trouve ainsi à leur catalogue Annie Saumont,
Pierrette Fleutiaux ou Marie Le Drian, Châteaureynaud,
Daniel Arsand ou Eric Pessan.
Pascal GIBOURG avec Rêve d'épingles "vu par" l'artiste Anne
Laure Sacriste et Nathalie CONSTANS pour "La réformation des
imbéciles" "vu par" Jean Lecointre, initieront la nouvelle
présentation de ces charmants ouvrages tandis que l'artiste
Mélanie DELATTRE-VOGT, qui accompagne un texte de Stig
DAGERMAN, "Dieu rend visite à Newton(1727)" racontera son
expérience.
Enfin, SAMEDI 13 JUIN, SOIREE COLLECTIVE AVEC LA REVUE
VERSO, en compagnie de son animateur Alain WEXLER, avec la
poétesse/comédienne Evelyne MORIN, le poète/éditeur David
RONDIN et le poète André-Louis ALIAMET.
Au contact de cette revue lyonnaise que nous avons déjà
invitée, nous découvrons le vivier vivant de la poésie
contemporaine qui, contre vents et marées, continue son
magnifique périple.
A vous voir et revoir !
A.L.
LA LUCARNE DES ECRIVAINS
115 rue de l'Ourcq
75019 PARIS
Tél : 01 40 05 91 29
Métro : Crimée, ligne 7
Bus 60, 54 : arrêt Crimée/Curial
http://lucarnedesecrivains.free.fr
revue et dont vous me direz des nouvelles... en venant vous
recueillir devant l'estrade de la librairie où officieront
les invités de ces quatre rencontres consécutives !
JEUDI 11 JUIN à 19H30 "LA DISCORDE DES TEMPS",
lecture/rencontre avec le poète Matthias VINCENOT, présentée
par la poétesse syrienne Maram AL-MASRI.
Dans le cadre mensuel de ses rencontres, après le
poète/éditeur Francis COMBES (Le Temps des Cerises) et le
philosophe/poète Jean-Pierre FAYE, la ravissante Maram
AL-MASRI nous présente une de ses dernières trouvaille, le
poète au grand coeur Matthias VINCENOT, accompagné par Eric
GUILLETON qui chantera quelques poèmes qu’il a mis en musique.
A 28 ans, Matthias VINCENOT publie déjà, avec "La
Discordance des temps" (Le temps des cerises), son huitième
recueil de poèmes (après "la vie, le vent" (Lanore) et
figure dans de nombreuses anthologies comme "La Poésie est
dans la rue" ou "L'Année poétique" (chez Seghers). On y
trouve une poésie de l'air du temps et du temps d'aimer :
"A courir des chimères dans des lieux provisoires
On oublie son histoire, parfois même
On y croit
Et c'est souvent pareil, mais on ne s'avoue pas
Que le hasard déforme ce que la nuit fait taire
C'est le second regard, celui qui comprendra"
VENDREDI 12 JUIN à 19h30, SOIREE ART ET NOUVELLES avec les
éditions du Chemin de fer en compagnie des éditeurs François
GROSSO et Renaud BUENERD, les auteurs Pascal GIBOURG et
Nathalie Constans, l'artiste Mélanie DELATTRE-VOGT.
Depuis la création de cette petite maison d'éditions, leurs
trois fondateurs n'ont eu de cesse de défendre LA nouvelle
et LA création. Publiant de jolis objets contenant une et
une seule nouvelle, accompagnée tout du long par un artiste
revisitant à sa manière le texte édité, chaque livre explore
ce genre littéraire à travers des écrivains souvent
reconnus, au regard d'artistes contemporains à découvrir.
Initiée par des inédits d'Henry BAUCHAU et Violette LEDUC,
cette collection s'est élargie petit à petit à des auteurs
moins connus et, récemment vers des nouvellistes
commençants. On trouve ainsi à leur catalogue Annie Saumont,
Pierrette Fleutiaux ou Marie Le Drian, Châteaureynaud,
Daniel Arsand ou Eric Pessan.
Pascal GIBOURG avec Rêve d'épingles "vu par" l'artiste Anne
Laure Sacriste et Nathalie CONSTANS pour "La réformation des
imbéciles" "vu par" Jean Lecointre, initieront la nouvelle
présentation de ces charmants ouvrages tandis que l'artiste
Mélanie DELATTRE-VOGT, qui accompagne un texte de Stig
DAGERMAN, "Dieu rend visite à Newton(1727)" racontera son
expérience.
Enfin, SAMEDI 13 JUIN, SOIREE COLLECTIVE AVEC LA REVUE
VERSO, en compagnie de son animateur Alain WEXLER, avec la
poétesse/comédienne Evelyne MORIN, le poète/éditeur David
RONDIN et le poète André-Louis ALIAMET.
Au contact de cette revue lyonnaise que nous avons déjà
invitée, nous découvrons le vivier vivant de la poésie
contemporaine qui, contre vents et marées, continue son
magnifique périple.
A vous voir et revoir !
A.L.
LA LUCARNE DES ECRIVAINS
115 rue de l'Ourcq
75019 PARIS
Tél : 01 40 05 91 29
Métro : Crimée, ligne 7
Bus 60, 54 : arrêt Crimée/Curial
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(Sequenza d’incontri tra musica e poesia)
appuntamento di questa sera con "Vladimir Majakovskij o l’utopia di un futuro luminoso e pulito" (giovedì 11 giugno, ore 21), ti segnaliamo la conclusiva della stagione, che vedrà protagonista le note dal grande pianista Antonio Ballista:
giovedì 18 GIUGNO ore 21
Tre feste dell’immortalità
(Sequenza d’incontri tra musica e poesia)
a cura di Tomaso Kemeny
Alcuni fondatori della “Casa della Poesia”, a chiusura della stagione, leggeranno testi di autori italiani che evocano risonanze nel loro immaginario.
Si tratta di testi in grado di spalancare l’atto effimero effettuale della lettura all’immortalità simbolica nello spazio culturale dove “la morte non ha dominio”.
L’aura dell’immortalità verrà nell’occasione rafforzata dall’apporto decisivo del grande pianista (clavicembalista, direttore d’orchestra) Antonio Ballista, fondatore, tra l’altro, dello straordinario gruppo di solisti noti come “900 e Oltre”.
Festival delle Culture Suq a Genova
Al via domani l'inaugurazione dell'11°Festival delle Culture Suq a Genova
dalle ore 16 Action Painting e tanta musica giovane
vi ricordiamo alle ore 21 l'intervista di Paola Mordiglia a Gad Lerner
a seguire i Demi Portion in concerto - dalla Francia il gruppo emergente della musica hip hop
Ingresso libero
Alleghiamo programma in pdf
Produzione: Chance Eventi / Festival Suq :: Via XX Settembre 20/31 16121 Genova
tel./fax. + 39 010/5702715 :: cell. + 39 329 2054579
www.suqgenova.it
dalle ore 16 Action Painting e tanta musica giovane
vi ricordiamo alle ore 21 l'intervista di Paola Mordiglia a Gad Lerner
a seguire i Demi Portion in concerto - dalla Francia il gruppo emergente della musica hip hop
Ingresso libero
Alleghiamo programma in pdf
Produzione: Chance Eventi / Festival Suq :: Via XX Settembre 20/31 16121 Genova
tel./fax. + 39 010/5702715 :: cell. + 39 329 2054579
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mercoledì 10 giugno 2009
Antonietta Gnerre e la poesia
Il viaggio della parola
Quando il poeta passa per un filtro la propria voce, l’urlo del cuore arriva al lettore oltre i capelli e i gusci dei pensieri. Questa straordinaria tempestività si chiama poesia, calco che racchiude da tanto tempo in questo mondo i cronisti della parola. Pier Paolo Pisolini, nell’opera in Alcuni Poeti , afferma: “In Italia c’è un numero enorme di poeti che scrivono delle poesie come se svolgessero dei compiti. Pare non vogliano fare fatica, e cerchino di ottenere il successo (sia pur limitato a pochi intenditori) facendo dire di sé ciò che è stato detto dagli altri, grandi e pateticamente invidiati”. Questa riflessione ci deve far scoprire che ogni autore è unico ed irripetibile. Del resto la parola scritta ha conservato sulle righe della speranza tanti autori e tante vite. Ma non per questo bisogna imitare un autore invece dell’altro. Bisogna solo avere la forza di leggere e poi rileggere i libri di poesia. Per poi incidere sul foglio bianco i respiri del cuore, le storie che abbiamo amato e quelle che ci hanno fatto soffrire, oppure quelle cose che vediamo ancora lontane, ubicate sulle attese primitive. Nessuna parola riesce a reggersi da sola, come nella vita abbiamo bisogno di più compagni perché:
“ Tu tieni la matassa io arrotolo il filo
questa immagine vecchia forse è antica
forse siamo le Parche
Tu corri per le strade io sto a casa e t’aspetto
lontano c’è il mare e ci sono isole
che forse è inutile cercare
Sto diventando cieca mentre il mondo è più chiaro
mi tiro dietro le nuvole come aquiloni
così tutto s’annera
mentre le donne volano sopra le nuvole guidano aeroplani
Chi può dire se siamo alberi o passeri
Chi può dire se siamo
montagne o fiumi
Quando eravamo bambini c’insegnarono le parole
e adesso con le parole costruiamo case di sabbia
ripari esposti al vento-provvisori
fino all’assoluta stabilità
La poetessa Marini Mariani, con parole chiarissime, ci spiega la struttura profonda del comunicare, con una voce prudente, impalpabile, traspirata ed avvolgente. Ogni poeta, conferma il proprio vissuto nei bagliori del verso e nella calda luminosità placata dal viaggio. Per cui, il poeta- viaggiatore arriva sempre in anticipo sull’impianto della storia. Attraverso un processo che è ragionevole e mentale. La poesia riuscita è quella di tutti i giorni è quella parola che scorre nei corridoi del quotidiano. La disperazione che si tramuta in speranza. Ed eccoli, allora gli oggetti del quotidiano formarsi, sia pure con ritmata gradualità, in scagli vive di verità. Questa verità noi la chiamiamo poesia:
“…poesia
è il mondo, l’umanità,
la propria vita
fiorita dalla parola
la limpida meraviglia
di un delirante fermento
Quando trovo
in questo mio silenzio
una parola
scavata è nella mia vita
come un abisso”
Con queste parole riflessive e genuine Giuseppe Ungaretti pare portarci sugli aquiloni della parola con un fascino che ricerca la sostanza per accendere a quell’enumerazione evocativa che vive in ogni poeta: “ La parola che il poeta usa è una parola che in genere è richiamo alla sua integrità e pienezza di significato: è potenziata al punto da esplicare quella creatività e provocarla in altri. Quando è difficile preservare alla parola questa potenza creatice, potenza che è in rapporto con il versetto giovanneo: <
Maria Pina Ciancio
Massimo Sannelli
Monia Gaita
e Carla Cirillo
al mio Premio Pratapoesie
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La Tela Sonora
La Tela sonora e' una rete che attrae la poesia per espanderla e farla conoscere nel mondo, qui e ora: non esiste passato non esiste futuro. il futuro é il passato come é stato pensato da TE.
Ascolta ora in questo momento, l'unico possibile attimo.
Le parole della poesia letta sono adesso e ora, la loro musicalità é un tantra che raggiunge il cervello e soprattutto il cuore.
visita http://www.radioalma.blogspot.com/ ed ascolta le puntate trascorse in compagnia dei poeti.
La tela é per tutti grandi e piccini senza distinzione, accoglie per espandere per ritornare nel mondo con una forza più grande
Grazie a tutti coloro che hanno deciso di partecipare, la tela é vostra
Ascolta ora in questo momento, l'unico possibile attimo.
Le parole della poesia letta sono adesso e ora, la loro musicalità é un tantra che raggiunge il cervello e soprattutto il cuore.
visita http://www.radioalma.blogspot.com/ ed ascolta le puntate trascorse in compagnia dei poeti.
La tela é per tutti grandi e piccini senza distinzione, accoglie per espandere per ritornare nel mondo con una forza più grande
Grazie a tutti coloro che hanno deciso di partecipare, la tela é vostra