domenica 21 dicembre 2008

tormento

di Sebastiano Adernò
Ho un tutto mio studiato disagio da poeta che interpongo allavita perché una sottile scorza di felicità difenda la mia intimitàontologica e con cura, nutra il mio infinito. E questo ognigiorno, fino a che, perché nessuno la dimentichi, la notte mettein scena una domanda: e se sul cerchio montassero unoscambio? E il tempo, andasse a sbattere su un binario morto?Perché ora che gli alberi indolenziti diramano solitudinel’inverno chiede ascolto e, approfittando di una parola slogatacompila dei miei sentimenti un foglio bianco E io sosto cosìnell’algoritmo di varie stratificazioni, nel tiepido che urtacontro la paura di, e se un giorno la mente per distrazione,potrebbe perdere le gerarchie del pensiero per assumerel’ingombro di un giorno piovoso? Un giorno da vecchiacartolina sgranata dove nelle strade di una città fitta diombrelli dalle spalle lo sguardo caschi incapace di farcambiare direzione ai propri piedi?Così l’attesa coagula in un vetro su cui niente scivola più, etutto è trattenuto, forzato a sostare nel momento, come io e legocce di pioggia alla finestra, appesi alla nostra incapacità diafferrare questo sordo e liscio cielo di latta.Questo anche nei giorni in cui l’impressione del petto scambiail pozzo per un sospiro, e dal tuffo in una tazzina sbeccata lanoia mi prende a sorsi la mente, che persa in un calcolo senzamiracolo, mi slega le mani allo scrivere. Perché da suoniarcani mi tormento di coniare un nome grezzo per il miosentimento e voglio che siano le tue labbra a levigarlo. Comevorrei levigare ogni giorno versato dal sole al di là del mare.Ogni giorno che può avere una resa, per i nomi con cui losacrifico. Perché per ciò che sento sotto le dita l’arte non siimpara, si subisce. E col silenzio, in comunione, l’aurora fasempre da altare al cielo e il mio labbro si contrae in unapostrofo che d’ora, mentre questo sentire mi parassita, il miochiedere pace si versa sul mare come un'immagine su unospecchio in cui smetto di ricompormi perché gli occhi, misfuggono a loro stessi inciampando in ogni prospettiva che fada difetto alla comprensione. Così che distendermi a coglierele mie irregolarità, diviene per gli occhi essermi subaffittatoanche il nascosto. Il nascosto della notte. Perché è come duraogni volta la luna, a spezzarmi la lingua, sillabando lo scontoad ogni stella, un'altra per ancora, un'altra per sempre portarele labbra al pozzo, levandomi con la voglia, lo sgocciolo,dell'ora tarda che sempre mi tiene il petto.

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