mercoledì 18 febbraio 2009

Massimo Sannelli,

Massimo Sannelli, da PROMETEO

1.
non mi furono spenti
gli occhi. gli occhi sono
sempre il meglio di noi.
tolti ad un altro, spenti
dopo, un altro li chiude
da solo, quando l’uomo
parla contro se stesso;
i miei occhi non furono
spenti mai. e, dopo,
«volto fraterno, Antigone»,
«piedi veloci, Achille»,
dopo, dopo, dopo. ecco
quello stile, che chiamo
la memoria del mondo,
che io insegno. muore
oggi lo stile primo.
c’è una gloria più piena
– sei un dio anche tu –
in me e la mia gloria
non è una cosa fredda,
e a noi hai più pensato?
no. e furono per questo
lasciati gli occhi, a me.
io vedo. io vedo. io vedo.

2.
dico che è troppo facile
amare da lontano.
io li amavo. li amavo
tutti da vicino. e tu? anche tu
mi ami? e dici sàlvati.
per mia volontà libera io mi sono
esposto a questa fine. per mia colpa.
per la mia volontà e la mia colpa,
è vero. io non credevo mai che questa
ora venisse. perché? non sapevo?
allontanavo sempre questo tempo.


Il monologo Prometeo, scritto in versi e interpretato da Massimo Sannelli, è un’opera pensata per adattarsi ad occasioni diverse, con diverse regìe. La prima realizzazione teatrale è avvenuta al Teatro Manhattan di Roma, nei giorni 13-15 gennaio 2009. Sarà pubblicata in italiano e nella versione inglese di Daniela Monzeglio sulla rivista internazionale «Le acque di Hermes» (estate 2009).
Massimo accentua la debolezza di chi è isolato: «E a pensare in me sia ancora un dio / sperduto, debole, puerile: / ma la sua voce è così umana / ch’è quasi un canto» (Pier Paolo Pasolini, La religione del mio tempo). In pratica, qui parla la figura precristiana degli ultimi Cahiers di Simone Weil. Oggi le donne del Coro, Efesto, Ermes non ci sono più: quindi esistono come ombre – incoraggianti o brutali – del solo Prometeo. In questo caso, il «monologo» tiene fede alla natura del suo nome: parla uno, parla soltanto, e parla da solo. Parla nell’ossessione del soffrire «per mano degli dèi», «anche se sono un dio». Dunque non tutti gli dèi sono uguali, e non tutti gli dèi sono giusti, di fronte a chi ha «dato tutto». Prometeo ricorda l’umanità, come se fosse anche un uomo, orgoglioso e autodistruttivo. Nessuno può dire se questo Prometeo sia un malato, un uomo, un dio vero. Avvicinandosi alla fine, il monologo si sfalda, nei suoni e nella sintassi, come se il Silenzio fosse un altro personaggio.

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