Tre domande ad Adele Desideri.
In occasione della pubblicazione del libro: “Il pudore dei Gelsomini”
1)Adele, sembra una domanda scontata, ma non posso non fartela: il titolo del libro che ritroviamo nascosto tra i versi di una delle prime poesie del tuo nuovo lavoro, mi incuriosisce e mi inquieta al tempo stesso. Questa frase sembra aprire la via, in una dimensione misteriosa, a qualcosa di segreto, di indicibile, quasi al limite di quel giardino che tutti vorremmo ma temiamo attraversare, almeno in una fase della nostra vita, quella dell’adolescenza. A me viene in mente il rito iniziatico, quello che segna il passaggio dall’età infantile a quella matura, dove il pudore necessario e presente deve cedere il passo, dopo prove ed eventi gravosi e paurosi, a quella necessaria dose di consapevolezza per affrontare la vita. Così nei tuoi gelsomini, nella farfalla e in quel codice scritto nel cielo terso che leggono gli ulivi e le radure verde rame forse, se pure ormai donna matura che ti culli nel fiume di luce, si scorgono reminiscenze di giovanili momenti dove torni bambina e, dimentichi le rotte proibite. E comunque manca sempre qualcosa al tocco…Che peso ha nella tua poesia dunque il ricordo di questo passaggio e quanto ti pesa, se ti pesa il parlarne, visto che è così difficile per tutti dimenticarsene, e cosa manca per raggiungere un giusto equilibrio?
*Il segreto, l’indicibile, è quanto non si può dire, né pensare, né nominare. È quel che accade in un’epoca remota. L’epoca del non ricordo. Il non-ricordo (ovvero la sensazione - non la certezza - di un misfatto accaduto, forse anche solo nella pura immaginazione) può essere espresso unicamente nella metafora. Non scaturisce dal pensiero logico, ma piuttosto appare come un’intuizione improvvisa, a volte non chiara, ermetica.
*Luna bugiarda
Montmartre, via Madonnina 27, Milano
Mi trafiggi la nuca,
mi imbrigli nel lutto.
Ma in tre, tu sai,
il gioco non vale.
Sono la donna di picche,
aggrumo dolori,
nel castello dei pazzi
il re semina orrore.
La luna - tu non lo sai -
è bugiarda e calante.
Ti sfido a tressette,
la lotta è ferina,
acceco i tuoi occhi,
ti vinco, ti anniento.
Nella truffa mi avvedo
di un sole corrotto.
Sei teatro, canzone,
sei una luce blasfema.
Mi ritraggo e se vuoi
cambiamo le carte.
Perdi tu, io proseguo,
nel cappello altre storie.
Sei un disegno sfumato, io volevo l’amore.
(Adele Desideri, dalla raccolta inedita L’eremo dei pensieri sospesi)
*Il giardino proibito, quello che conserva il pudore, è effimero, come il profumo dei gelsomini. E risiede nell’infanzia, la prima infanzia: vessata, assunta a tema di un’esistenza negata ab origine.
*L’iniziazione avviene sempre troppo presto. Dopo - nell’età irresponsabile dell’adolescenza - si vola alto, inconsapevoli.
Ma il tragitto è breve. L’età adulta precipita presto nel buco nero dei doveri, dei diritti, dei riti - davvero per nulla sacri - quotidiani. Il pudore è una necessità negata.
*A volte, solo a volte, si torna bambine. È un attimo. Poi l’orologio degli affetti di nuovo perde secondi, minuti, ore. Meglio, allora, non ricordare, se non attraverso la poesia. E, quando al mattino suona la sveglia, seguire le linee invisibili - interiori - della realtà necessitante. Fare - non pensare e non sentire - per non soffrire.
2)Un calice atteso è il sottotitolo della seconda raccolta dei tuoi testi. Anche qui noto la forte presenza della dimensione del ricordo dove l’amore speso, come l’uva matura, colora la vigna e le viti, in ricordo di padre e di madre. Gli affetti familiari, la bambina con l’altalena e la corda per saltare, con le lacrime di ghiaccio… il poeta affonda il coltello nelle piaghe della sua vita e spesso sono le piaghe anche del lettore, non credi? E’ un lento lavorio di scavo nel profondo, quanto male fa al poeta? Ne troveranno giovamento, alla fine i suoi lettori?
*La via che porta alla crescita e dà un senso alla vita è per me sempre radicata nella parola. Parola - insegnamento, parola - transfert, parola – verso.
Comunque parola. La parola - quella che dico, e sento, e voglio leggere - la parola è salvifica. In termini più moderni, terapeutica.
I miei maestri della parola: Qoelet, Euripide, Sofocle, Dostoevskij, Tolstoj, Leopardi, Pirandello e, non ultimo, Turoldo.
Spero di potere donare al lettore - attraverso le mie poesie -parole gravide di senso. Ma è il lettore che sceglie. Io posso solo offrirle, le parole.
Qualcuno passa oltre, qualcuno si ferma e poi scappa, qualcuno legge e assimila.
3)Nell’ultima parte del libro parli ancora di vino, l’ho notato è un elemento che ricorre spesso. Pensando al vino il collegamento è subito al colore rosso, e al sangue: si qui a maggior ragione si parla spesso di temi sacri, Cristo, i Santi, i Morti. Che valore ha o deve avere per il poeta il sacro rispetto al profano? Il poeta nel tuo caso è testimone anche della sua/nostra cristianità, non può non esserlo dato che fa parte della sua/nostra stessa identità. In questa società così ormai multietnica trovi giusto ribadire questi concetti? E’ un compito del poeta rafforzare il senso di appartenenza ad una cultura?
*Certamente - come già ho accennato - ho avuto la fortuna di ricevere una discreta formazione umanistica: il liceo classico - la civiltà greca e quella romana -, la lettura dei grandi romanzieri e poeti - russi, francesi, inglesi, americani e italiani - lo studio della psicoanalisi freudiana e junghiana, e - in età adulta - la Bibbia. Un substrato culturale che influenza il mio modo di fare, di parlare e di scrivere.
*Vino e sangue: un binomio nel quale sono stata educata. La mia nonna materna - nella sua villa toscana in provincia di Pisa, a Cevoli - preparava per
i suoi otto chiassosi nipoti - una merenda che mi piaceva moltissimo: pane, vino e zucchero.
E, d’altronde, il collegamento tra vino e sangue non è solo essenziale nel sacramento dell’Eucarestia, ma appare anche in altre esperienze religiose. Perfino nei detti popolari: “Il vino - specie quello rosso - fa buon sangue”.
*Il sacro è ciò che fonda ogni civiltà e le dà senso. Violare il sacro significa uccidere l’uomo, la sua stessa anima. Quando mi devo recare in un paese oltre i confini italiani, prima - molto prima - ne studio la cultura religiosa, alimentare, le più arcaiche - sacre - tradizioni.
*Ma non temo il confronto. Né voglio imporre la mia identità culturale, o tanto meno la mia fede.
Io mi sento così profondamente dentro alla civiltà cristiana, che non ho paura di misurarmi con chi crede in un Dio diverso dal mio. Misurarmi per comprendere, per accogliere, per amare e per crescere - io stessa - nella dimensione spirituale. L’induismo, per esempio, offre spunti molto profondi di meditazione. E così pure il Buddismo.
*Il dialogo, ancora la parola - retta però (e la rettitudine è molto vicina alla bellezza) - è, secondo me, un passaggio critico ma decisivo per il futuro dell’Europa e dell’intera umanità.
Bologna 22 gennaio 2010
Milano, 28 gennaio 2010
Cinzia Demi
Adele Desideri
In occasione della pubblicazione del libro: “Il pudore dei Gelsomini”
1)Adele, sembra una domanda scontata, ma non posso non fartela: il titolo del libro che ritroviamo nascosto tra i versi di una delle prime poesie del tuo nuovo lavoro, mi incuriosisce e mi inquieta al tempo stesso. Questa frase sembra aprire la via, in una dimensione misteriosa, a qualcosa di segreto, di indicibile, quasi al limite di quel giardino che tutti vorremmo ma temiamo attraversare, almeno in una fase della nostra vita, quella dell’adolescenza. A me viene in mente il rito iniziatico, quello che segna il passaggio dall’età infantile a quella matura, dove il pudore necessario e presente deve cedere il passo, dopo prove ed eventi gravosi e paurosi, a quella necessaria dose di consapevolezza per affrontare la vita. Così nei tuoi gelsomini, nella farfalla e in quel codice scritto nel cielo terso che leggono gli ulivi e le radure verde rame forse, se pure ormai donna matura che ti culli nel fiume di luce, si scorgono reminiscenze di giovanili momenti dove torni bambina e, dimentichi le rotte proibite. E comunque manca sempre qualcosa al tocco…Che peso ha nella tua poesia dunque il ricordo di questo passaggio e quanto ti pesa, se ti pesa il parlarne, visto che è così difficile per tutti dimenticarsene, e cosa manca per raggiungere un giusto equilibrio?
*Il segreto, l’indicibile, è quanto non si può dire, né pensare, né nominare. È quel che accade in un’epoca remota. L’epoca del non ricordo. Il non-ricordo (ovvero la sensazione - non la certezza - di un misfatto accaduto, forse anche solo nella pura immaginazione) può essere espresso unicamente nella metafora. Non scaturisce dal pensiero logico, ma piuttosto appare come un’intuizione improvvisa, a volte non chiara, ermetica.
*Luna bugiarda
Montmartre, via Madonnina 27, Milano
Mi trafiggi la nuca,
mi imbrigli nel lutto.
Ma in tre, tu sai,
il gioco non vale.
Sono la donna di picche,
aggrumo dolori,
nel castello dei pazzi
il re semina orrore.
La luna - tu non lo sai -
è bugiarda e calante.
Ti sfido a tressette,
la lotta è ferina,
acceco i tuoi occhi,
ti vinco, ti anniento.
Nella truffa mi avvedo
di un sole corrotto.
Sei teatro, canzone,
sei una luce blasfema.
Mi ritraggo e se vuoi
cambiamo le carte.
Perdi tu, io proseguo,
nel cappello altre storie.
Sei un disegno sfumato, io volevo l’amore.
(Adele Desideri, dalla raccolta inedita L’eremo dei pensieri sospesi)
*Il giardino proibito, quello che conserva il pudore, è effimero, come il profumo dei gelsomini. E risiede nell’infanzia, la prima infanzia: vessata, assunta a tema di un’esistenza negata ab origine.
*L’iniziazione avviene sempre troppo presto. Dopo - nell’età irresponsabile dell’adolescenza - si vola alto, inconsapevoli.
Ma il tragitto è breve. L’età adulta precipita presto nel buco nero dei doveri, dei diritti, dei riti - davvero per nulla sacri - quotidiani. Il pudore è una necessità negata.
*A volte, solo a volte, si torna bambine. È un attimo. Poi l’orologio degli affetti di nuovo perde secondi, minuti, ore. Meglio, allora, non ricordare, se non attraverso la poesia. E, quando al mattino suona la sveglia, seguire le linee invisibili - interiori - della realtà necessitante. Fare - non pensare e non sentire - per non soffrire.
2)Un calice atteso è il sottotitolo della seconda raccolta dei tuoi testi. Anche qui noto la forte presenza della dimensione del ricordo dove l’amore speso, come l’uva matura, colora la vigna e le viti, in ricordo di padre e di madre. Gli affetti familiari, la bambina con l’altalena e la corda per saltare, con le lacrime di ghiaccio… il poeta affonda il coltello nelle piaghe della sua vita e spesso sono le piaghe anche del lettore, non credi? E’ un lento lavorio di scavo nel profondo, quanto male fa al poeta? Ne troveranno giovamento, alla fine i suoi lettori?
*La via che porta alla crescita e dà un senso alla vita è per me sempre radicata nella parola. Parola - insegnamento, parola - transfert, parola – verso.
Comunque parola. La parola - quella che dico, e sento, e voglio leggere - la parola è salvifica. In termini più moderni, terapeutica.
I miei maestri della parola: Qoelet, Euripide, Sofocle, Dostoevskij, Tolstoj, Leopardi, Pirandello e, non ultimo, Turoldo.
Spero di potere donare al lettore - attraverso le mie poesie -parole gravide di senso. Ma è il lettore che sceglie. Io posso solo offrirle, le parole.
Qualcuno passa oltre, qualcuno si ferma e poi scappa, qualcuno legge e assimila.
3)Nell’ultima parte del libro parli ancora di vino, l’ho notato è un elemento che ricorre spesso. Pensando al vino il collegamento è subito al colore rosso, e al sangue: si qui a maggior ragione si parla spesso di temi sacri, Cristo, i Santi, i Morti. Che valore ha o deve avere per il poeta il sacro rispetto al profano? Il poeta nel tuo caso è testimone anche della sua/nostra cristianità, non può non esserlo dato che fa parte della sua/nostra stessa identità. In questa società così ormai multietnica trovi giusto ribadire questi concetti? E’ un compito del poeta rafforzare il senso di appartenenza ad una cultura?
*Certamente - come già ho accennato - ho avuto la fortuna di ricevere una discreta formazione umanistica: il liceo classico - la civiltà greca e quella romana -, la lettura dei grandi romanzieri e poeti - russi, francesi, inglesi, americani e italiani - lo studio della psicoanalisi freudiana e junghiana, e - in età adulta - la Bibbia. Un substrato culturale che influenza il mio modo di fare, di parlare e di scrivere.
*Vino e sangue: un binomio nel quale sono stata educata. La mia nonna materna - nella sua villa toscana in provincia di Pisa, a Cevoli - preparava per
i suoi otto chiassosi nipoti - una merenda che mi piaceva moltissimo: pane, vino e zucchero.
E, d’altronde, il collegamento tra vino e sangue non è solo essenziale nel sacramento dell’Eucarestia, ma appare anche in altre esperienze religiose. Perfino nei detti popolari: “Il vino - specie quello rosso - fa buon sangue”.
*Il sacro è ciò che fonda ogni civiltà e le dà senso. Violare il sacro significa uccidere l’uomo, la sua stessa anima. Quando mi devo recare in un paese oltre i confini italiani, prima - molto prima - ne studio la cultura religiosa, alimentare, le più arcaiche - sacre - tradizioni.
*Ma non temo il confronto. Né voglio imporre la mia identità culturale, o tanto meno la mia fede.
Io mi sento così profondamente dentro alla civiltà cristiana, che non ho paura di misurarmi con chi crede in un Dio diverso dal mio. Misurarmi per comprendere, per accogliere, per amare e per crescere - io stessa - nella dimensione spirituale. L’induismo, per esempio, offre spunti molto profondi di meditazione. E così pure il Buddismo.
*Il dialogo, ancora la parola - retta però (e la rettitudine è molto vicina alla bellezza) - è, secondo me, un passaggio critico ma decisivo per il futuro dell’Europa e dell’intera umanità.
Bologna 22 gennaio 2010
Milano, 28 gennaio 2010
Cinzia Demi
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