giovedì 18 febbraio 2010

“la poeta/ la poetessa”.

Anna Maria Farabbi ha ricevuto una mail da Giuliana Lucchini, una nota traduttrice, che le ha proposto un suo scritto riguardo la parola "poeta".
Anna lo pubblicherà su "carte sensibili" http://cartesensibili.wordpress.com/ e pubblicherà anche le nostre risposte e quelle di amici e amiche che vorranno esprimersi. Me lo trasmette per farlo girare, anche su face book. Per raccogliere così vari pareri. Se vorrete quindi scrivete la vostra idea e diffondete. Grazie. Vittoria Di seguito il testo della Lucchini:


"G i u l i a n a L u c c h i n i



Piccola disputa o diatriba :

“la poeta/ la poetessa”.



Nessuno si sognerebbe mai di riferirsi a Saffo, o a Gaspara Stampa, come ‘la poeta’. Tuttavia c’è ancora chi crede che dire ‘poetessa’ sia discriminante per la donna che scrive poesia.

In senso generico, si chiama ‘poeta’ chiunque, indipendentemente dal genere femminile/maschile, siamo d’accordo. Ma insistere a porre l’articolo femminile e dire ‘la poeta’/’le poete’ ogni volta (quasi un rifiuto della propria condizione, mentre si vuole affermarsi), al giorno d’oggi, dopo le conquiste di indipendenza orgogliosa e di affermazione di volontà femminile, suona quasi ridicolo. La cosa poteva andare bene quando la donna era considerata non all’altezza degli uomini nei campi della conoscenza e del potere creativo, per la sua condizione secolare di reclusa alle mansioni del focolare domestico: soggetto debole. Nessuno si sogna più di riferirsi a quel tempo andato. La donna ha ampiamente recuperato, ha bruciato i tempi, e oggi cavalca sulla prateria del sorpasso.

“ - Sono gli uomini che hanno imposto la distinzione del ‘genere’ ”, si sente dire. E chi altri, se no? Dio, che creò l’uomo e la donna, uguali e distinti.

Chi si sognerebbe di chiamare ‘la pittore’ una pittrice, o ‘la professore’ una professoressa? Ci sono secondo l’uso nomi in comune che per distinguersi nel genere usano l’articolo femminile, ‘dentista’, ‘farmacista’. Ma chi direbbe ‘la medico’, ‘la dottore’, ‘la scrittore’ ?

Soltanto perché poeta finisce in ‘a’ ?



Per valutarsi grande oggi la donna non ha bisogno di espedienti di spinta maschile. E’ già forte e libera.

La nostra ricca lingua italiana (grammatica fatta da uomini, d’accordo) ci permette di distinguere fra genere maschile e genere femminile senza disdoro. Il sesso ci differenzia. A ognuno il proprio posto. Usiamo la lingua secondo la tradizione. Rivalutiamo il termine “poetessa”, così nobile e distinto. Per sentirci donne di successo al pari degli uomini, non ci abbassiamo a trasformarci in maschi, appropriandoci di un nome loro, per darci vigore e distinguerci a loro pari con un ridicolo ‘la’.

Non ne abbiamo bisogno.





Chi la pensa diversamente?"

2 commenti:

  1. e se eliminassimo l'articolo? Sarebbe interessante un assaggio all'oscuro, come si usa con i vini, proponendo dei testi di autori e autrici contemporanei, inediti naturalmente, per vedere se è possibile tracciare una linea di demarcazione,da una parte le autrici e dall'altra gli autori. Che dite?Ciao Daniela, ferni

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  2. In risposta alla tua-
    Ciao Carissima Daniela!Pensavo che ...
    si dovrebbero scegliere dei testi di autrici (donne) e di autori (uomini) che trattino un comune argomento, non importano le angolazioni e le modalità. Bisognerebbe scegliere autrici di origine diversa, come pure per gli autori, e leggere i loro testi senza dire di chi sono. Poi chiedere, a chi dice di saper riconoscere le voci feminili da quelle maschili, a chi appartengono i testi e vedere se hanno colpito nel segno, se cioè hanno individuato la sessualità dei/nei testi, oppure è solo un mito da sfatare e chi scrive è solo una penna o un pennino tra le mani di qualcosa che supera entrambi. Che ne pensi? Un abbraccio,ferni

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