mercoledì 28 ottobre 2009

la tela sonora 30 ottobre intervista Luigi di Ruscio



Silenzio, parla Luigi Di Ruscio
Libri, fabbrica e passione politica di uno spirito sovversivo fluviale e lirico in perenne conflitto con il mondo
Di Angelo Ferracuti

Luigi ha settantacinque anni ma conserva lo spirito meravigliato di un bambino. Curioso della vita e pieno di stupore, coglie sempre l’attimo per un’impennata lirica e sovversiva che scombina i piani e ti fa vedere le cose in maniera diversa e avversa. Una memoria instancabilmente vitale, profondamente comica e in conflitto perenne con le cose del mondo. E lo fa parlandoti di sua moglie Mary, la sua musa nordica alla quale ha dedicato le Mitologie (Lietocolle editore), ti parla del suo nuovo romanzo fluviale di cinquecento pagine, Santi polverizzati, in cerca di editore, dove il suo alter ego Palmiro, che condensa nel nome una storicizzazione, e titolo del suo romanzo più famoso (prima Transeuropa, poi Baldini e Castoldi), partito in treno dalle Marche incontra a Milano un fondamentalista cattolico che vende crocefissi. Polverizzati, appunto, quasi visti dopo un’esplosione di prosa materica irriverente rispetto a tutte le forme. Come la sua, naturale e ribelle, quella di uno sempre pieno di invettive comiche contro la stupidità del mondo viste e digerite da un comunista prima di natura, poi di cultura autodidatta, infaticabile scrittore di un verbale che in poesia o in prosa attraversa mezzo secolo di storia italiana vista da Oslo, in Norvegia, dove vive dal 1957.
Sto parlando di Luigi Di Ruscio, classe 1930, uno scrittore mitico per molti di noi inclini a combattere con le parole, che nonostante la lontananza geografica sa ancora raccontare il nostro paese da massimalista, prendendo di petto storia e memoria come fossero tutte al presente e vive sotto i suoi occhi in presa diretta, capace di scaraventartele in faccia con tutta la violenza e la tenerezza che lo contraddistinguono, potente come pochi.

“Per la questione aborto è la donna che deve decidere. Non certo il papa che non verrà mai ingravidato”, oppure: “Sono ritornate le folle oceaniche, per la morte del papa e del nuovo papa, e non abbiamo più un Gioacchino Belli che per tutto questo spettacolo neopagano, ci faccia ridere.”
Legge ancora le Mitologie di Mary, tossisce: “Io amo la Norvegia e anche mia moglie nordica, in Italia non avevo mai capito bene che vivevo in un pianeta tanto ero immerso nel sociale”

“Il fascino della Rivoluzione d’Ottobre è troppo grosso per spararci sopra, con tutto il mio populismo avrei sparato sui sanfedisti e mi avrebbero azzannato. Teorizzo anche una non appartenenza a questo vostro mondo, però pago le tasse senza il minimo trucco, ho trasportato tutto l’universo linguistico italico ad Oslo anche perché occupava pochissimo spazio. Ho trapassato le frontiere senza nessuna noia doganale, come un re incoronato…” “adesso leggiamo le poesie, la prosa è stancante”. Penso che un poeta che ha vissuto il populismo e gli anni ‘50, dove la forza della comunicazione era soprattutto nel parlato, emigrando e “isolandosi”, è riuscito a salvare l’oralità, il discorso diretto, questa è la sua principale forza. Dice che aveva pensato di scrivere un libro “Istruzioni per l’uso della poesia”. Del progetto però c’è solo questa prima pagina che leggerà. Attacca: “Non scrivete le poesie se nello scrivere non ne ricavate rilassatezza, felicità sessuale, leggerezza nei contatti con il prossimo tuo, se non senti lo stesso iddio in prossimità della tua ombra, gioia lavorativa in fabbrica, scioltezza nel lavoro manuale, aumento vertiginoso della creatività mentre scrivi, sviluppo imprevedibile della personalità, leggermente inebriato, come a precipizio. Se tutto questo non succede smetti subito. La gioia della poesia è solo nello scriverla”. E più avanti: “sarai assalito da associazioni mentali meravigliose e imprevedibili. Scrivi con le spalle bene appoggiate alla spalliera della sedia, scrivi per ore e ore senza stanchezza…piove, nevica, tutto irrompe e avanza, avanzano le fiamme dell’incendio, il Titanic affonda e tu imperterrito a scrivere un verso dietro all’altro e smascherare anche l’iddio immobile e tutti i maiali delle logge massoniche più coperte, tutte le carogne associate e persino la repubblica nostra”. Continua a leggere, la sua prosa sembra crescere dentro le ruote dentate di un ingranaggio che trascina, trova nell’enunciarsi sempre una nuova forza espressiva che nasce da una lingua incandescente. Poi tra un aneddoto e l’altro, racconti che strappano le risa ai presenti, comincia a leggere le poesie de L’ultima raccolta (Manni).

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