giovedì 11 dicembre 2008

TRA MISTICA & POESIA

TRA MISTICA & POESIA
A PROPOSITO DI AN-NAFFARI
di Gianni De Martino
Muhammad ibn Abdallah an-Naffari è vissuto nella prima metà del X secolo e sarebbe morto nel 354 dell’ Ègira, cioè 965 d.C. della nostra era. A giudicare dal nome, probabilmente proveniva dall’Irak, da Niffar nel sud del paese. Mistico errante alla ricerca di un Assoluto che l’islàm esalta per la sua trascendenza e l’abissale alterità rispetto alla creatura, ha lasciato poche tracce per i posteri. Ma scriveva dei brevi testi e dei poemi in prosa che un suo nipote classificò dopo la sua morte in una raccolta intitolata Kitab al mawaqqef wa yalih kitab al mukhatabat ( Il libro delle soste e il libro dei discorsi).
Si tratta di espressioni che avranno un senso preciso nella mistica islamica e che influenzarono l’opera successiva e più sistematica di Ibn ‘Arabi (1165-1240). Il mukhatabat è una serie di avvertenze o discorsi indirizzati dall’ invisibile al suo servo che lo cerca, mentre il mawqif è una sosta, un intervallo, una transe tra le stazioni spirituali.
Tra una stazione e l’altra, si verificano come dei lampeggiamenti, delle intuizioni, e il viandante trattiene il fiato, come uno yogi o un feto… All’improvviso l’iniziato viene rapito da una misteriosa presenza che gli suggerisce le regole appropriate ( adab) per raggiungere la stazione spirituale che desidera realizzare, e acquisire la sapienza che ne deriva. E’ la via più penosa, se non patetica, ma la più perfetta, secondo i mistici che attingono preziose indicazioni sia dalla ruhâniyyah (spiritualità o soffio ) dei maestri , sia da ciò che loro stessi hanno scritto nelle loro opere. Spesso sobrie, di poche parole, perché, come nota An-Naffari: “Più larga la visione, più stretta la parola.”
Una scrittura fondata sul desiderio di Assoluto e la liberazione del represso, continuamente in bilico tra illuminazione e vertiginosi abbagli, comporta un lavoro in cui è il difficile stesso a diventare un cammino. Il mistico legge nel libro della propria esperienza ed eccede ogni religione – e perciò non è senza frizioni con la chiusa e statica autorità religiosa che, nel suo fondo, rifiuta il mistico tende a minimizzarne, a ridurne o a cancellarne le tracce. Con una censura difensiva che spesso scatta come una tagliola, tagliando nel vivo dell’ eccedenza mistica – un’eccedenza irriducibile, che forse costituisce il segreto stesso del linguaggio.
La raccolta, frammentaria e densa, di An-Naffari , fu edita e tradotta con il titolo THE MAWAQIF AND MUKHATABAT dall’orientalista inglese Arthur John Arberry, quand’era professore all’Università Egiziana del Cairo nel 1934. Devo a uno scritto di Adonis la segnalazione dell’opera di An-Naffari raccolta da Arberry: un’opera quasi intemporale che, a partire dagli anni sessanta, è diventata rapidamente uno dei pilastri della letteratura mistica del sufismo in lingua araba, incontrando i poeti occidentali e la loro attuale interrogazione - a partire da Baudelaire, Mallarmé, Rimbaud, Nerval, i surrealisti - sui limiti della letteratura, della poesia e del linguaggio. Adonis ne parlò in “Création d’une nouvelle écriture”, un articolo del n.17-18 della rivista Mawakif, tradotto da Mostafa Yznassni e riprodotto nel n. 8 della rivista di arti plastiche e letterarie “Integral”, apparsa nel marzo 1974 a Casablanca, dove allora risiedevo. La rivista “Integral” era diretta dall’amico Mohamed Melehi e aveva sede al n. 7 di Rue Rouget de l’Isle, in una villetta in stile coloniale frequentata da pittori, scrittori e poeti di diverse nazionalità, in un clima cosmopolita, conviviale e accogliente. Era il periodo hippies, un tempo di ricerca profonda e libera, che oggi è imbarazzante ricordare. E’ per caso, incidentalmente, che mettendo ordine nella mia biblioteca alla ricerca di un libro sul Marocco, ritrovo quel vecchio numero della rivista “Integral”.
Non so come descrivere il mio stupore alla lettura, ora come allora, dei frammenti di An-Naffari, che insieme a un lampo di fuori tempo, mi danno, incidentalmente, la sensazione e quasi la concreta percezione di essere alla presenza di un grande poeta. Con l’impressione, supplementare, di commettere un crimine, ne traduco qui, dal francese, alcuni frammenti.
XXII. SOSTA DELLA SCELTA
Mi ha fermato a proposito della scelta e mi ha detto che sono tutti malati.
Mi ha detto : Guarda come la medicina li visita mattina e sera e come mi rivolgo loro tramite la medicina – sanno che parlo loro ma si aspettano sostegno dalla medicina e a me non promettono niente.
Mi ha detto : Erano nella mia mano poi li ho rigirati e non li rimetterò nella mano in cui si trovavano.
Mi ha detto : Se vedi il fuoco buttatici dentro e non rifuggirlo, perché se ti ci butti il fuoco si spegnerà e se fuggi il fuoco ti perseguiterà e ti brucerà.
Mi ha detto : Io il fuoco lo accendo con la seconda mano.
Mi ha detto : Occorre che una mania si dichiari e se una mania si dichiara è che sei un maleducato.
Mi ha detto : La tua preghiera deve andare a colui che ti ferma o ti crea e devi tendere verso quello che ti parla o ti ascolta.
Mi ha detto : Non ho né porta né cammino.
Mi ha detto : Parla quando devi parlare e taci quando devi tacere. Mi ha detto : Va’ nel deserto e restaci fino a che io ti veda, e se ti vedo ti porterò dalla terra al cielo e non ti nasconderò il mio volto.
Mi ha detto : Se così facendo non hai il favore di una preghiera dovuta a una creatura incolta, ti perderai.
Mi ha detto : Se in ogni cosa ti comporti come voglio ti resterà ancora da negare te stesso e chiamarmi affiché io ti liberi dal tuo amico.
Mi ha detto : Se in ogni cosa ti comporti come voglio correrai un grosso rischio, basterà che la tua pupilla si muova per farti male.
Mi ha detto : Non sei altro che una creatura, dove vuoi andare ?
Allora ho visto una muraglia accerchiarmi da ogni lato e l’ho sentito ridere nella muraglia e mi ha detto : Questa è la casa dei miei, non è che qui che rido.
Mi ha detto : Ho messo a questa muraglia altrettante porte che le cose create, e piantato davanti a ogni porta un albero e una fresca sorgente.
Poi ti ho dato sete. Se esci ti porterò nella casa dei miei e ti farò bere quest’acqua.
Mi ha detto : Dormi per vedermi perché mi vedrai, e svegliati per vederti perché non mi vedrai.
Mi ha detto : Se mi trovi dal bugiardo non farglielo sapere, ma se mi trovi dal fedele faglielo sapere.
Mi ha detto : La conoscenza che ho di te sarà per te una prova. Io sono l’incancellabile, l’indelebile causa di tutte le prove.
Mi ha detto : Ho apprezzato la tua aggressività durante la prova, ti ho dimostrato la mia forza e deplorato la tua aggressività. La tua conoscenza dell’arte di sviare le prove, per me è una prova. La tua negazione della prova mi è prova.
Mi ha detto : Parla di me alla maniera dei bambini e invocami alla maniera delle donne. Mi ha detto : Non essere per me uno schiavo quando informi gli altri di te e di quello che viene da te - e se tu vieni a me, è come se niente di tutto quello che hai passato fosse mai avvenuto. ( Mohamed ben Abdeljabbar ben el Hassan an-Naffari , traduzione di Gianni de Martino )
Illustrazione:
Calligrafia dell’ hadith: inna Allah jamîl yuhibbu l-jamâl ( Dio è bello e ama la bellezza)
http://pagesperso-orange.fr/leon.paillot/dieu_est_beau.gif

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